Oggi lasciamo il Portogallo, la nostra vacanza volge al termine, ma ci separano da casa ancora più di 2000 kilometri. Il programma della giornata è tutto nel trasferimento a Santiago de Compostela, con visita alla città nel pomeriggio-sera, ….sono poco più di 200 chilometri, dovremmo arrivare presto. Non abbiamo previsto soste lungo la strada, vedremo come và. Ormai siamo in quella fase della vacanza che precede il ritorno, quando l’ansia turistica è soddisfatta e subentra una vaga sensazione di leggerezza, il “prendila come viene” che già ci ha accompagnato nella giornata di ieri, a zonzo per Porto…
Prima di lasciare questa simpatica città facciamo un salto in un market locale, per rimpinguare le riserve alimentari e fare scorta (Antonio) di Vino di Porto da regalare al ritorno: non sarà nobile come quello comperato alla Caves de Taylor, ma la sostanza è la stessa, è sempre “originale dal Portogallo”: sfido i destinatari ad accorgersi della differenza…
Partiamo presto, lasciando il nostro hotel Antas nell’ennesima mattina di sole di questa vacanza meteorologicamente fortunata, anche se la luce del nord portoghese non è la stessa dell’Algarve (oggi almeno non c’è nebbia…). Imbocchiamo la A3 in direzione Nord, verso la Galizia spagnola, percorrendo la regione del Minho portoghese, in un paesaggio di colline coperte da ricca vegetazione. Questa zona meriterebbe forse più attenzione: lasciamo fra le alture a destra Guimaraes, l’antica capitale, città dove crebbe il primo re portoghese Dom Alfonso Henriques, celebrato come precursore di tutte le dinastie regnanti successivamente. A leggere la storia di questi luoghi si capisce come sia sottile il confine fra Spagna e Portogallo, alle sue origini, e tutto sommato incidentale che la storia abbia preso poi questo corso, dividendo le due nazioni della penisola iberica.
Costeggiamo Braga e proseguiamo verso nord, scavalcando dopo circa un ora il fiume Minho, ed il confine con la Spagna: fine del Portogallo, fine del gas….
Non si offendano i lusitani, non è certo questo (il gpl…) l’unico rammarico nel lasciarli, ma il viaggio ci chiama, altre mete ci attendono e la voglia di casa un po’ si fa sentire. Ci voltiamo per un ultimo arrivederci, e in un attimo il confine è già sparito alle spalle.
Da qui inizia la Galizia, e la regione delle “rias”, i lunghi fiordi che portano le onde dell’oceano a spegnersi placidamente fra le colline coperte di boschi: un paesaggio indubbiamente “nordico” ed inatteso, almeno per me che della Spagna conservavo un’idea di flamenco e corride nelle arene assolate….
Costeggiamo dall’alto la città di Vigo, scendendo poi a scavalcare Pontevedra e la sua “rias”, lungo “l’autopista del Atlantico”: ormai mancano poche decine di chilometri a Santiago, ma visto che siamo in anticipo ed è quasi ora di pranzo, decidiamo per una deviazione. Le nostre guide sui luoghi non sono molto dettagliate, essendo quella del Portogallo ormai inutilizzabile, ma riportano qualche informazione sul cammino di Santiago e le sue tappe, citando Padron, un paesino qui vicino, come una di queste. La leggenda narra che la barca con le spoglie dell’apostolo Giacomo sia approdata nell’antica città romana di Iria Flavia, dopo aver risalito la ria de Arosa e l’estuario navigabile del fiume Ulla, su cui si affaccia la cittadina, assicurando poi l’ormeggio ad una grossa pietra, un “pedron” in galiziano, in seguito venerato a tal punto da far cambiare nome alla città, divenuta con il tempo Padron. Dell’antico nome di Iria Flavia rimane traccia nella Collegiata de Santa Maria de Iria, vicino al paese. Questo luogo era frequentato dai fedeli in cammino da e per Santiago, i quali secondo la guida raccoglievano qui, sulla riva dell’oceano, le conchiglie che anche ora li identificano come “pellegrini di Santiago”. Mi sorge il ghiribizzo di imitarli, scendere al mare per cercare una conchiglia da regalare a mia figlia che da otto mesi ha iniziato un “cammino” tutto suo…
Quindi lasciamo “l’autopista del atlantico” dalle parti di Caldas de Reyes, perché secondo la mia cartina, vecchia di 20 anni e con l’autostrada ancora segnata “in costruzione”, dovremmo imboccare la via per Padron. In realtà finiamo sulla PO-8001, una bella strada che risale fra i boschi e scavalca le colline per ridiscendere in prossimità di Catoria, attraversando l’estuario del fiume Ulla. Nelle acque vicino al ponte galleggiano due piccole imbarcazioni vichinghe….ma siamo in Spagna? Proseguiamo per qualche chilometro lungo la costa nord della ria de Arosa, cercando un approdo adatto ad una sosta e alle conchiglie, ma il mare qui ha più l’aspetto di un laghetto alpino, con pinete e boschi tutto intorno e nessuna spiaggetta o scogliera che lasci supporre la presenza di un paguro, figuriamoci le Cappasante di San Giacomo…
Alla fine torniamo sui nostri passi (anzi …sulle nostre ruote…) verso il ponte: se c’erano delle barche vichinghe ci sarà un porticciolo o qualcosa del genere, e poi Tina ricorda di aver intravisto un sentiero vicino a dei ruderi…Scopriamo di essere capitati in uno dei “siti storici” più famosi di tutta la Galizia: la Torres do Oeste, una sentinella di pietra posta a difesa dell’interno, continuamente minacciato dagli invasori provenienti dal mare e risalenti il corso del fiume. Qualche cooperativa di giovani locali deve aver tentato un “recupero” del luogo, organizzando spettacoli storici (da cui le navi vichinghe ormeggiate): restano alcune foto sulle bacheche e un’improbabile biglietteria in disuso. Spiace per l’iniziativa, ma il fallito rilancio credo abbia giovato al luogo, che gode adesso di una pace invidiabile …con il vantaggio delle recenti e ben tenute strutture d’accesso.
Sentieri sopraelevati e ponticelli si inoltrano nella laguna, fino ad un piccolo rialzo in riva al fiume-mare-oceano che qui si mescolano. Pare che il luogo sia di origini romane, ma abbia poi conosciuto la sua massima espansione come castello a difesa dalle invasioni normanne. Oggi rimangono pochi resti di alcune torri, ed una chiesetta dedicata a San Giacomo: potrebbe essere il luogo giusto per una conchiglia di Santiago, ma l’acqua è poco salmastra e il bagnasciuga è coperto da vegetazione verdeggiante, non è posto da molluschi, forse va bene per le anguille….
Torniamo verso il parcheggio dove all’arrivo avevamo consumato un po’ di viveri e scaricato i serbatoi e troviamo qualche piccola comitiva in arrivo: il posto non è poi così dimenticato come sembrava.
Risaliamo in macchina e puntiamo verso Padron, senza conchiglie, in cerca di un caffè. Percorriamo la nuovissima VRG 1.1, fra boschi e prati in mezzo alle colline, e arriviamo rapidamente al paese, parcheggiando proprio dietro un chiosco di informazioni turistiche, dove campeggiano mappe del “cammino”. Marina entra per raccogliere qualche informazione, perché alle due signore è venuta l’idea di percorrerne un pezzo, giusto per dire “ce l’ho”, e vorrebbero capire prima come funziona.
La ragazza spagnola non ha molto materiale per italiani, ma alla fine recupera un paio di opuscoli, uno sul “cammino portoghese” (dove siamo ora) e l’altro su quello francese…chissà non possano venire utili in futuro. Nel bar rifacciamo un po’ di confusione con i nomi del caffè macchiato, avevamo appena imparato quello portoghese e adesso siamo di nuovo in Spagna: la qualità è comunque peggiorata, o forse è colpa del locale che ha l’aria un po’ dimessa. Risaliamo in vettura e puntiamo dritti alla meta, autostrada per Santiago e via.
In periferia cominciamo ad armeggiare con le cartine di Google per capire come arrivare al nostro Hotel Congreso, nella zona a sud della città, ma dopo un po’ di dubbi e perplessità decidiamo di abbandonare la tecnologia e tornare ai vecchi sistemi di una volta: siamo a Santiago, città dei pellegrini, facciamo come gli antichi viandanti e chiediamo informazioni……
Due ragazzi sanno dov’è l’albergo, ma spiegarlo a degli italiani non è proprio facile, visto che non è nemmeno vicino, però ci mandano nella direzione giusta e alla fine arriviamo. In questa terra di ospizi per pellegrini pare che ci siamo prenotati l’hotel migliore della vacanza, alla faccia dei camminatori di Santiago….forse il giudizio è favorevolmente falsato dalle dimensioni dei giacigli che troviamo in camera: un matrimoniale formato da due letti affiancati, ognuno da una piazza e mezza abbondante. Abbiamo dormito in meno della metà per molte delle notti precedenti! Marina pregusta già il comodo riposo, ma poi le sovviene un dubbio: come farà a scalciarmi per zittire il mio russare, a quella distanza incolmabile? Non si può avere tutto, dico io…che tanto lei non russa….
Il resto della camera è proporzionato ai letti, e il resto dell’albergo è commisurato alla camera: dovrebbe essere un tre stelle, ma sembrano di più…sarà perché siamo qui, nel “campo delle stelle”, che le stelle abbondano….
Ci prendiamo una pausa di relax e poi ripartiamo per la città, armati di una cartina gentilmente fornitaci dalla receptionist, corredata di itinerario autografo a pennarello, a prova di idiota. Il programma è di visitare il centro storico, cenare in città e tornare a dormire presto, che domani si parte all’alba. Le signore insistono con l’idea di voler percorrere un pezzo di “cammino”, che immagino non possa essere un sentiero, in mezzo a una città del genere, quindi cercheremo di capire anche da dove arrivano i pellegrini….
Per il momento siamo immersi nel traffico di una qualsiasi città occidentale, che se per caso passa un viandante deve fare bene attenzione a non farsi stirare prima di raggiungere la meta…giriamo un po’ inutilmente a cercare parcheggio e poi, visto che siamo vicini alla zona “monumentale”, molliamo la macchina in una sosta a tempo, fra due ore torneremo (plurale inutile: tornerà Antonio…) ad aggiornare il disco orario.
Poche centinaia di metri più avanti lo scenario cambia completamente: superiamo l’anello esterno al centro pedonale ed entriamo in una città a misura, se non di pellegrino, almeno di turista. Il centro storico ha una omogeneità di architettura improntata sulle strette vie fiancheggiate da case in granito che riportano al clima medioevale in cui ci si immagina il cammino dei viandanti. Passeggiamo un po’ in direzione della cattedrale e le strade sono piene di turisti e comitive di pellegrini: i secondi si riconoscono da come camminano, dalle calzature messe a dura prova e da come ostentano con un certo orgoglio le loro conchiglie….
La spiritualità di Santiago è senz’altro diversa da quella di Fatima, che abbiamo sperimentato qualche giorno fa: non dico ne meglio ne peggio, ma certo diversa….Credo si possa parlare di una “religiosità laica”, in qualche modo contrapposta alla “religiosità miracolista” di Fatima, con tutte le distinzioni necessarie e senza attribuire a queste due categorie una valenza qualitativa. Il concetto stesso di pellegrinaggio protratto per centinaia di chilometri, il mettersi alla prova anche “fisicamente”, contrasta con quel breve camminare sui ginocchi che caratterizza Fatima, o con il dolore e la malattia che incontreremo poi a Lourdes, nei fisici provati dei malati accompagnati alle piscine. Qui si respira una forma di spiritualità che rimanda forse ai libri di Coelho (che non a caso ne ha scritto uno intitolato al “cammino”) con tutto il bene ed il male che se ne può dire: le categorie religiose si attagliano poco a questa esperienza. Tuttavia credo che, grattando sotto le incrostazioni turistiche-commerciali che inevitabilmente si impossessano di questi luoghi collettivi, sia possibile leggere nei volti di chi “arriva” un bisogno di “altro” e di “alto” che va guardato positivamente…..sempre che non si risolva poi nel portarsi a casa una conchiglia ….e buonanotte.
Oltre che di turisti e pellegrini (anzi: proprio per i turisti e i pellegrini…), le strade sono piene di “artisti”: in agosto a Santiago c’è il Festival dos Abrazos, e noi ci siamo capitati in mezzo. In molti angoli delle vie e piazze si esibiscono cantanti di strada, clown, teatranti, circondati da crocchi di gente….si respira un’aria di festa, dove gli abbracci (da cui il nome del festival…. immagino…), sono scambiati fra quanti si ritrovano infine alla meta, essendosi magari incontrati lungo il percorso nei giorni precedenti. Il luogo centrale di questo ritrovarsi è la piazza di fronte alla cattedrale, la “praca de Obradorio” al centro della quale una lapide ed una conchiglia incise sul selciato sono lo spazio conteso fra tutti i pellegrini per appoggiare finalmente il sedere e riposare i piedi…
Noi invece, indegni e immeritevoli automobilisti, ci sediamo un po’ in disparte ad osservare il via vai, e la facciata imponente della chiesa che domina la piazza, in attesa di entrare a salutare S.Giacomo e la sua stella. Se qualcuno volesse provare l’ebrezza di essere lì, vada a questo sito:
http://www.catedraldesantiago.es/visita/visitavirtualcatedralING.htm?pcatedpotrà passeggiare virtualmente fra le navate deserte, cosa che a noi non è dato di fare, vista la ressa un po’ caotica che popola la chiesa. Su un lato del transetto un apposito ufficio sembra dedicato alla “vidimazione” ufficiale dei pellegrini, mentre un po’ di raccoglimento si ritrova solo nella lunga fila che si snoda intorno alla cripta per la visita alle reliquie del santo e la salita dietro l’altare per l’abbraccio rituale alla statua di S.Giacomo. Io e Antonio ci limitiamo a qualche foto senza intralciare i penitenti, e torniamo sulla piazza. Tina e Marina non hanno ancora rinunciato all’idea di percorrere un pezzo del “cammino”, quindi con l’aiuto della mappa ci dirigiamo verso la “porta do Camino” che dal nome dovrebbe essere l’ingresso alla città per i pellegrini. Lungo il percorso seguiamo, convinti di essere nel giusto, una serie di conchiglie in metallo affisse alle case, che in realtà sono dappertutto, simbolo della municipalità. La strada comunque è questa, come scopriremo alla fine, consultando la nostra guida sul “cammino francese” donataci a Padron. Dalla porta do Camino si ripiomba nel traffico automobilistico, anche se meno intenso di prima. Incrociamo una comitiva di scout italiani, in ordine sparso e dall’andatura frettolosa: forse avvertono l’approssimarsi della meta e non vedono l’ora….di sedersi. Chiediamo informazioni e ci confermano che il percorso è quello, indicandoci anche un cartello direzionale proprio all’angolo della Praca de San Pedro. Tina e Marina posano per la foto ricordo, ma non potrebbero ingannare nessuno…troppo sorridenti e riposate e troppo in abiti “urbani” per sembrare due pellegrine alla fine del cammino. Comunque decidono di proseguire ancora un po’ verso la Francia, incamminandosi lungo la strada di Os Concheiros. Gli antichi banchi dei venditori di conchiglie, che lungo questa via accoglievano un tempo i pellegrini, non ci sono più, sostituiti da più moderni negozi di souvenir: a me manca ancora la mia conchiglia, ma non mi va di comperarla così….
Perciò qui le nostre strade si dividono, le signore a calpestare le orme dei viandanti, Antonio a rinnovare il disco orario del parcheggio e io….a cercare un po’ di quiete in un parco che vedo indicato sulla carta. In fondo l’essenza dello spirito di Santiago è proprio in questo andare solitari verso la meta, paradigma esistenziale, ognuno con i propri mezzi e il proprio passo, quindi proviamo anche noi un briciolo di “spiritualità compostelliana”: ci diamo appuntamento per le otto in piazza, di fronte alla basilica. Mi dirigo verso il Parque de Belvis, lungo strade poco trafficate e, noto con piacere, assolutamente prive di auto in sosta: il servizio di rimozione deve funzionare bene. Il selciato in pietra, l’assenza di lamiere variopinte, le case in granito sui lati, tutto contribuisce a riportare indietro l’orologio del tempo. Entro un momento nella chiesa del convento de Belvis, ma c’è una funzione in corso, non voglio disturbare le monache domenicane che abitano il convento, quindi torno sul belvedere che domina la piccola valle nel cuore della città, che sembra trasformata a parco da non molti anni, viste le dimensioni delle piante. Sotto la terrazza i resti di quelle che sembrano una serie di celle conventuali degradanti lungo la rampa acciottolata, verso il ruscello che scorre in fondo: rimangono le pareti d’ingresso, con porticina e finestra, porticina e finestra, porticina e finestra….una corona di rosario in muratura a scandire il tempo, in un’epoca in cui il tempo aveva un’altra importanza. Scendo la Rua das Trompas per tornare verso il centro, costeggiando il Convento de la Ensenanza e mi rendo conto, guardando la mappa, di quanti conventi ci siano in questa città: eredità d’altri tempi, magari adesso sono tutti mezzi vuoti, o forse no, forse lo Spirito continua a soffiare forte da queste parti….
Mi dirigo verso un altro parco, dall’altra parte del centro storico, la Caballeira da Santa Susana. Lungo il Paseo de Alameda si ritrovano tutti quelli che non erano al Parque de Belvis: mezza città passeggia nel fresco del tramonto sotto gli alberi del parco, con l’aggiunta di un buon numero di turisti e pellegrini. Una coppia di chansonniers si esibisce, lei certamente francese, lui non si sa, limitandosi ad accompagnare alla chitarra: meriterebbero platea migliore per le qualità canore e musicali, e i pochi presenti lo capiscono e concedono applausi generosi, e qualche moneta d’incoraggiamento. Me ne vado, accompagnato dal vibrare perdurante di una erre francese, arrotata sopra un pentagramma di Brassens: peccato non potersi fermare ancora….ma sono quasi le otto e ho un appuntamento. Torno verso la Cattedrale, traversando una città vecchia ancora più animata (sarà l’approssimarsi dell’ora di cena che mette agitazione) ed entro nella piazza al rintocco delle campane: Antonio è già lì che aspetta, e le donne arrivano poco dopo. Il loro cammino si è interrotto dopo un paio di chilometri, fra aree amministrative e centri commerciali, ma sono comunque soddisfatte dell’impresa. Avessero proseguito ancora un po’ (un bel po’…), sarebbero salite sul Monte do Gozo, Monte del Gaudio dei pellegrini che arrivando da oriente vedevano (e vedono) per la prima volta le guglie della Cattedrale: chissà che non possa accadere in futuro….
Lungo il ritorno hanno esplorato i ristoranti della zona, con relativi menù, e ci guidano verso quello scelto, qui vicino, dietro la Cattedrale. Niente piatto del pellegrino, che non lo siamo, ma un più prosaico menù per turisti, proposto dal cameriere più sudato che abbia mai visto: eppure non fa nemmeno così caldo, chissà in piena estate….Le pareti in pietra viva del locale sono percorse da fessure e rientranze, dentro e sopra le quali i commensali hanno disposto piccole monete, una fontana di Trevi in verticale, probabilmente con lo stesso auspicio del “ritorno”. Antonio offre anche lui il suo contributo; certo qui il recupero è più agevole che a Roma, non ci si bagnano neppure i piedi….ma visti gli importi non ne vale la pena…e poi è già così sudato….niente attività supplementari. Io ordino una zuppa di pesce e dell’agnello, abbinamento improprio ma condizionato dal resto del menù, non particolarmente stimolante (per le nostre tasche….).
Alla fine della zuppa….Eureka! Ho trovato la conchiglia….nel fondo della tazza del brodo di pesce! Per la verità è Tina che coglie l’opportunità, facendomi notare la piccola Reginella che sto distrattamente maneggiando: conchiglia per conchiglia, questa è quella che passa il convento, non è una Cappasanta, ma è comunque di Santiago: me la infilo in tasca pensando che forse il ristoratore le ricicla nella zuppa a scopo decorativo; si starà ancora chiedendo chi è il morto di fame che si è mangiato anche i gusci…..
Usciamo nella luce del crepuscolo avanzato, passeggiando un po’ nelle vie intorno. Piazze e piazzette sono occupate da artisti di strada intenti alle loro esibizioni, attorniati da pubblico più o meno folto. Noi abbiamo un appuntamento sotto il portico di fronte alla Cattedrale, con un gruppo di musici che, secondo la guida, ogni sera allieta i pellegrini. Ci prepariamo per tempo, occupando gli unici posti a sedere: due gradini di marmo su un lato del porticato. I suonatori arrivano alla spicciolata, in costumi sgargianti, portando strumenti di varia fattura. Il repertorio non è esattamente consono alla spiritualità del luogo, riconosco “celito lindo” e qualche altra canzone della tradizione spagnola, sottolineata in coro dai turisti locali. Alla fine il “concerto offerto ai pellegrini” presentato dalla guida si trasforma nella raccolta di offerte per i musicanti, nella migliore tradizione delle esibizioni di piazza. D’altra parte…tutte le sere a suonare le stesse canzoni….se non fai su almeno due euro…. è dura. Lasciamo la piazza ad esibizione ancora in corso. Gli ultimi gruppi di irriducibili stazionano al centro, le chiappe appoggiate sulla sacra conchiglia, intenti a rimirare il cielo…avranno trovato quello che cercavano? Mi auguro di si per loro, che non gli rimanga solo il mal di piedi come ricordo….
Ormai è ora di tornare, domani si parte presto, quasi un migliaio di chilometri da fare. Incrociamo dietro la Cattedrale la francese e il suo chitarrista, intenti ad esibire il loro repertorio e Marina fa dello spirito sui condizionamenti estetici dei miei giudizi musicali: assolutamente falso…va beh…quasi falso: l’interazione dei sensi è inevitabile…e anche l’occhio vuole la sua parte…
Ci allontaniamo in automobile da questa città di viandanti verso l’anonima periferia, ragionando sulla possibilità e la voglia di tornare un giorno per imitarli. Per ora concludiamo la visita da turisti, lasciando a loro gli ostelli e sprofondandoci nella vastità dei nostri letti a tre piazze. Prima di addormentarmi do un’occhiata in televisione a un documentario sulle coste galiziane: splendide inquadrature di fari solitari battuti dai venti e dalle onde, scogliere tormentate dall’oceano, la “costa de la muerte” da La Coruna a Finisterre: chissà che conchiglie da quelle parti….mi ricordo che devo ancora lavare il mio ritrovamento nella zuppa di pesce, non vorrei conservasse l’odore in eterno. Penso a qualcosa che potrei scrivere per accompagnare il souvenir artigianale….una riflessione sul cammino della vita e i tesori inaspettati…..e mi addormento.