Il programma del giorno è “shanti”, come usano dire i nostri ragazzi. Per completezza informativa riporto la definizione reperibile in Wikypedia:
“Presso la religione induista, la parola sanscrita Śānti (solitamente anglicizzata in Shanti) indica uno stato di assoluta pace interiore e di serena imperturbabilità, caratterizzato dall'assenza delle frenetiche onde-pensiero (vritti) generate dalla mente; l'individuo che ha raggiunto questa pace è estremamente equanime, equilibrato, centrato, moderato, e grazie a questa sua centratura riesce a vivere con perfetta concentrazione e serenità nel qui e ora.”
però! ….una giornata così sarebbe davvero da incorniciare. Non credo di poter dire che noi si sia riusciti nell’impresa, ma abbiamo fatto del nostro meglio. Tanto per cominciare sveglia posticipata e sole che bussa ai vetri dietro gli spessi tendoni, che non guasta. Poi il clima conventuale dell’albergo che aiuta ….La colazione in realtà non è molto abbondante, ma giustamente la frugalità è una delle tappe verso l’ascesi, e le sorelle laiche (non trovo altra definizione) sembrano orientate in quella direzione.
Il programma del giorno prevede mattinata al mare e pomeriggio turistico. Ripercorriamo la N8 in direzione S.Martinho do Porto, località suggerita dalle guide e anche da Loredana e Ugo. È un oceano particolare quello che troviamo qui: la costa alta e rocciosa sul mare si interrompe per forse 200 metri, lasciando entrare le onde a spegnersi in una vasta laguna di quasi un km di raggio. Al riparo dalle onde si è sviluppato il paese, ora meta turistica in espansione urbanistica e lungo tutto il semicerchio della spiaggia la popolazione dei bagnanti si gode il sole e, udite udite, fa il bagno come fossimo a Rimini. Le condizioni particolari del mare consentono alla temperatura dell’acqua di raggiungere livelli quasi “mediterranei”, ma la limpidezza non è propriamente quella promessa da alcuni cartelli pubblicitari (“agua mais linda do portugal”): alla fine ci limitiamo a passeggiare un po’ con i piedi sul bagnasciuga e a fare un’escursione sulle rocce verso la bocca della baia sull’oceano, senza arrivarci. Anche qui il venticello non è proprio estivissimo, ma l’impegno del giorno è orientato alla trascendenza, quindi ci abbandoniamo volentieri sulle stuoie, più o meno coperti dai salviettoni…
Nel primo pomeriggio, dopo i soliti panini al volo, ci dirigiamo a Obidos, circa 25 km verso sud, passando per Caldas da Rainha.
Obidos è una località molto “turisticizzata”, ma merita una visita. D’altra parte noi turisti pretenderemmo sempre di scoprire angolini incantevoli dove non c’è nessuno (botte piena e moglie ubriaca). Anche qui, comunque, basta spostarsi dalla via principale dei negozietti per ritrovare un’atmosfera più tranquilla, fra le stradine medioevali senza automobili (non ci passerebbero proprio) e le mura che circondano l’intero paese: molto Shanti….
La passeggiata sulle mura invece è meno shanti, simile a quella del piccolo castello di Tavira, nel senso che è altrettanto pericolosa, ma molto più lunga…Le comitive in fila indiana che si incontrano in direzioni opposte si scrutano ostilmente per decidere chi deve addossarsi alla cinta merlata e chi deve invece camminare lungo l’orlo interno. I turisti italiani, essendo all’estero, si sentono autorizzati ad abbandonarsi agli improperi a voce alta, “…tanto chi ci capisce…”, non riflettendo che probabilmente molti dei passanti sono anche loro, come noi ad esempio, italiani….
Il castello di Obidos è una delle “sette meraviglie” del Portogallo, secondo una classifica dei beni culturali portoghesi. Ora è un albergo di lusso (una Posada come dicono loro), quindi ci limitiamo a guardarlo da fuori. Dietro il castello c’è un’area per spettacoli, con un’ambientazione finto-medievale ricostruita in stile Gardaland e un cortile con bella vista sul castello: scattiamo le foto di rito e torniamo verso la porta d’uscita. Secondo le guide il paese è stato per secoli, a partire dal 1200, regalo di nozze dei Re portoghesi alle loro regine, da quando la prima, Dona Isabel, se ne innamorò…(del paese, non del re…). La fine della monarchia ha posto fine anche a questa simpatica tradizione. Chissà come veniva esplicitato il dono, forse il re portava la promessa sposa sulla torre del castello e diceva la classica frase “un giorno, se mi sposi, tutto questo sarà tuo….”, e chissà poi in cosa consisteva “possedere” un paese….comprese galline, maiali, capre….e cristiani. Da questi ultimi la prima proprietaria ha avuto in cambio la santità: santa Isabella di Aragona (una spagnola), la Regina Santa del Portogallo. Ma ci sono voluti 300 anni prima che salisse agli altari, per le sue opere di carità e l’intercessione della dinastia spagnola allora regnante sul Portogallo: strane coincidenze della storia…….L’avessero canonizzata i cittadini di Obidos (o delle altre sue svariate proprietà) al grido di “santa subito” avrebbe fatto un altro effetto…
Saramago descrive Obidos come “una signorina di provincia invitata al gran ballo, che si preoccupa dei suoi boccoli mentre attende che la invitino a danzare”: anche lui nella categoria dei turisti mai contenti…A noi comunque è piaciuto.
Ritorniamo ad Alcobaca in albergo per ristorarci un po’ prima della cena, poi io e Marina andiamo a cercare informazioni per l’ingresso al monastero, ma il portone è chiuso e non sembra nemmeno essere questa l’entrata al monumento, data la totale assenza di informazioni affisse. In cerca di una porta “turistica” cominciamo il periplo dell’edificio, che si rivela effettivamente enorme. Scopriamo anche il “dietro le quinte” di una struttura ormai degradata, con cortili interni trascurati e invasi da erbacce e materiali vari, al di fuori probabilmente dei percorsi turistici definiti. Non trovando l’ingresso al monastero ci orientiamo verso la ricerca del ristorante, dato che quello della sera precedente è stato cassato all’unanimità. Questa volta ci viene in aiuto la guida Lonely planet, che cita una pensione-ristorante “dos corazones” (sempre gli amanti infelici), proprio dietro l’albergo, famoso per le porzioni abbondanti e i prezzi modici. Poteva esserci abbinamento migliore per le nostre aspettative di turisti squattrinati? Ci fiondiamo nel locale e apprezziamo la correttezza dell’indicazione, unita ad una buona qualità, che non guasta.
Dalla periferia del paese arriva a tratti la classica musica da sagra paesana e decidiamo di dare una sbirciata. Riusciamo ad estorcere al taciturno ragazzo della reception una indicazione, e lui puntualmente ci punisce mentendo sulla reale distanza della fiera, situata ben oltre i “cinque minuti a piedi” da lui suggeriti…Comunque alla fine arriviamo e ci rendiamo conto del perché ci sembrava un paese tranquillo: tutti i cittadini sono qui. È la sagra di S.Bernardo, quello di Chiaravalle, fondatore dei cistercensi e quindi anche del convento di Alcobaca. Potevano forse scegliere altro patrono? Gli eredi degli antichi sudditi dei monaci, però, oggi riaffermano il loro riscatto festeggiando in maniera alquanto laica il Santo dottore della chiesa: in tutto il programma non si vede nessun riferimento a celebrazioni religiose. E i festeggiamenti durano una settimana intera. Il pezzo forte della serata è la “Grandiosa Vacada com mesa de tortura” che non è una messa in stile santa inquisizione, ma una specie di corrida paesana alla buona, dove lo scopo principale sembra sia…farsi male! In una arena improvvisata con transenne scorrazzano un torello nero decisamente cornuto e un certo numero di abitanti, di varie età. Pare che l’abilità consista nel prendere il toro per le corna e capovolgerlo a terra con l’aiuto degli amici. Il patos raggiunge l’apice quando il più eroe della serata, ma forse solo il più brillo, si pianta a dieci metri dal toro e non si sposta nemmeno quando quello parte di corsa, rifilandogli una testata in pieno stomaco: fortunatamente le corna sono abbastanza larghe da non far danni. Brivido fra la folla, ambulanza (già pronta parcheggiata ovviamente), barella e rianimazione; alla fine il tizio si alza barcollando, un po’ per la botta, forse più per il vino: grandi applausi del pubblico e si ricomincia da capo….
Il resto della sagra è un palco con musica brasileira, un luna park con sottofondo assordante ed i classici venditori di fritture varie, nonché un mercato di “tutto a 5 euro”: nell’insieme niente di diverso (toro a parte…) da tante sagre paesane della nostra amata patria. Ci fossero “li pali” delle luminarie e la taranta potrebbe essere Salento….
Rincasando scavalchiamo il ponte del rio Alcoa, seguito più avanti da quello sul rio Baca, ed ecco spiegata l’origine del nome del paese. Ripassiamo nella piazza deserta davanti alla facciata del monastero, trascinando stancamente i piedi verso l’albergo. Sarà stato un luogo Shanti almeno questo, prima di diventare un monumento nazionale? Lo scopriremo domani, per ora andiamo a cercare la pace interiore nell’unica posizione meditativa concepita ed ammessa dalla frenetica cultura occidentale.
Il programma del giorno prevede mattinata al mare e pomeriggio turistico. Ripercorriamo la N8 in direzione S.Martinho do Porto, località suggerita dalle guide e anche da Loredana e Ugo. È un oceano particolare quello che troviamo qui: la costa alta e rocciosa sul mare si interrompe per forse 200 metri, lasciando entrare le onde a spegnersi in una vasta laguna di quasi un km di raggio. Al riparo dalle onde si è sviluppato il paese, ora meta turistica in espansione urbanistica e lungo tutto il semicerchio della spiaggia la popolazione dei bagnanti si gode il sole e, udite udite, fa il bagno come fossimo a Rimini. Le condizioni particolari del mare consentono alla temperatura dell’acqua di raggiungere livelli quasi “mediterranei”, ma la limpidezza non è propriamente quella promessa da alcuni cartelli pubblicitari (“agua mais linda do portugal”): alla fine ci limitiamo a passeggiare un po’ con i piedi sul bagnasciuga e a fare un’escursione sulle rocce verso la bocca della baia sull’oceano, senza arrivarci. Anche qui il venticello non è proprio estivissimo, ma l’impegno del giorno è orientato alla trascendenza, quindi ci abbandoniamo volentieri sulle stuoie, più o meno coperti dai salviettoni…
Nel primo pomeriggio, dopo i soliti panini al volo, ci dirigiamo a Obidos, circa 25 km verso sud, passando per Caldas da Rainha.
Obidos è una località molto “turisticizzata”, ma merita una visita. D’altra parte noi turisti pretenderemmo sempre di scoprire angolini incantevoli dove non c’è nessuno (botte piena e moglie ubriaca). Anche qui, comunque, basta spostarsi dalla via principale dei negozietti per ritrovare un’atmosfera più tranquilla, fra le stradine medioevali senza automobili (non ci passerebbero proprio) e le mura che circondano l’intero paese: molto Shanti….
La passeggiata sulle mura invece è meno shanti, simile a quella del piccolo castello di Tavira, nel senso che è altrettanto pericolosa, ma molto più lunga…Le comitive in fila indiana che si incontrano in direzioni opposte si scrutano ostilmente per decidere chi deve addossarsi alla cinta merlata e chi deve invece camminare lungo l’orlo interno. I turisti italiani, essendo all’estero, si sentono autorizzati ad abbandonarsi agli improperi a voce alta, “…tanto chi ci capisce…”, non riflettendo che probabilmente molti dei passanti sono anche loro, come noi ad esempio, italiani….
Il castello di Obidos è una delle “sette meraviglie” del Portogallo, secondo una classifica dei beni culturali portoghesi. Ora è un albergo di lusso (una Posada come dicono loro), quindi ci limitiamo a guardarlo da fuori. Dietro il castello c’è un’area per spettacoli, con un’ambientazione finto-medievale ricostruita in stile Gardaland e un cortile con bella vista sul castello: scattiamo le foto di rito e torniamo verso la porta d’uscita. Secondo le guide il paese è stato per secoli, a partire dal 1200, regalo di nozze dei Re portoghesi alle loro regine, da quando la prima, Dona Isabel, se ne innamorò…(del paese, non del re…). La fine della monarchia ha posto fine anche a questa simpatica tradizione. Chissà come veniva esplicitato il dono, forse il re portava la promessa sposa sulla torre del castello e diceva la classica frase “un giorno, se mi sposi, tutto questo sarà tuo….”, e chissà poi in cosa consisteva “possedere” un paese….comprese galline, maiali, capre….e cristiani. Da questi ultimi la prima proprietaria ha avuto in cambio la santità: santa Isabella di Aragona (una spagnola), la Regina Santa del Portogallo. Ma ci sono voluti 300 anni prima che salisse agli altari, per le sue opere di carità e l’intercessione della dinastia spagnola allora regnante sul Portogallo: strane coincidenze della storia…….L’avessero canonizzata i cittadini di Obidos (o delle altre sue svariate proprietà) al grido di “santa subito” avrebbe fatto un altro effetto…
Saramago descrive Obidos come “una signorina di provincia invitata al gran ballo, che si preoccupa dei suoi boccoli mentre attende che la invitino a danzare”: anche lui nella categoria dei turisti mai contenti…A noi comunque è piaciuto.
Ritorniamo ad Alcobaca in albergo per ristorarci un po’ prima della cena, poi io e Marina andiamo a cercare informazioni per l’ingresso al monastero, ma il portone è chiuso e non sembra nemmeno essere questa l’entrata al monumento, data la totale assenza di informazioni affisse. In cerca di una porta “turistica” cominciamo il periplo dell’edificio, che si rivela effettivamente enorme. Scopriamo anche il “dietro le quinte” di una struttura ormai degradata, con cortili interni trascurati e invasi da erbacce e materiali vari, al di fuori probabilmente dei percorsi turistici definiti. Non trovando l’ingresso al monastero ci orientiamo verso la ricerca del ristorante, dato che quello della sera precedente è stato cassato all’unanimità. Questa volta ci viene in aiuto la guida Lonely planet, che cita una pensione-ristorante “dos corazones” (sempre gli amanti infelici), proprio dietro l’albergo, famoso per le porzioni abbondanti e i prezzi modici. Poteva esserci abbinamento migliore per le nostre aspettative di turisti squattrinati? Ci fiondiamo nel locale e apprezziamo la correttezza dell’indicazione, unita ad una buona qualità, che non guasta.
Dalla periferia del paese arriva a tratti la classica musica da sagra paesana e decidiamo di dare una sbirciata. Riusciamo ad estorcere al taciturno ragazzo della reception una indicazione, e lui puntualmente ci punisce mentendo sulla reale distanza della fiera, situata ben oltre i “cinque minuti a piedi” da lui suggeriti…Comunque alla fine arriviamo e ci rendiamo conto del perché ci sembrava un paese tranquillo: tutti i cittadini sono qui. È la sagra di S.Bernardo, quello di Chiaravalle, fondatore dei cistercensi e quindi anche del convento di Alcobaca. Potevano forse scegliere altro patrono? Gli eredi degli antichi sudditi dei monaci, però, oggi riaffermano il loro riscatto festeggiando in maniera alquanto laica il Santo dottore della chiesa: in tutto il programma non si vede nessun riferimento a celebrazioni religiose. E i festeggiamenti durano una settimana intera. Il pezzo forte della serata è la “Grandiosa Vacada com mesa de tortura” che non è una messa in stile santa inquisizione, ma una specie di corrida paesana alla buona, dove lo scopo principale sembra sia…farsi male! In una arena improvvisata con transenne scorrazzano un torello nero decisamente cornuto e un certo numero di abitanti, di varie età. Pare che l’abilità consista nel prendere il toro per le corna e capovolgerlo a terra con l’aiuto degli amici. Il patos raggiunge l’apice quando il più eroe della serata, ma forse solo il più brillo, si pianta a dieci metri dal toro e non si sposta nemmeno quando quello parte di corsa, rifilandogli una testata in pieno stomaco: fortunatamente le corna sono abbastanza larghe da non far danni. Brivido fra la folla, ambulanza (già pronta parcheggiata ovviamente), barella e rianimazione; alla fine il tizio si alza barcollando, un po’ per la botta, forse più per il vino: grandi applausi del pubblico e si ricomincia da capo….
Il resto della sagra è un palco con musica brasileira, un luna park con sottofondo assordante ed i classici venditori di fritture varie, nonché un mercato di “tutto a 5 euro”: nell’insieme niente di diverso (toro a parte…) da tante sagre paesane della nostra amata patria. Ci fossero “li pali” delle luminarie e la taranta potrebbe essere Salento….
Rincasando scavalchiamo il ponte del rio Alcoa, seguito più avanti da quello sul rio Baca, ed ecco spiegata l’origine del nome del paese. Ripassiamo nella piazza deserta davanti alla facciata del monastero, trascinando stancamente i piedi verso l’albergo. Sarà stato un luogo Shanti almeno questo, prima di diventare un monumento nazionale? Lo scopriremo domani, per ora andiamo a cercare la pace interiore nell’unica posizione meditativa concepita ed ammessa dalla frenetica cultura occidentale.
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