Oggi prosegue il nostro spostamento verso nord, la meta finale è Porto. Lungo il percorso abbiamo previsto una sosta a Coimbra e una deviazione verso il mare dalle parti di Aveiro. Saranno circa 250-300 chilometri, deviazioni comprese, quindi partiamo abbastanza presto. Lasciamo l’atmosfera ovattata dell’albergo, il tizio della reception forse nemmeno si accorge…pagato abbiamo pagato….
Imbocchiamo la A8 e poi la A1 in direzione Coimbra, dove arriviamo abbastanza rapidamente. Le autostrade continuano ad essere scorrevoli e si snodano in un paesaggio di colline, spesso coperte da boschi di eucalipto.
Coimbra è nota come centro universitario, una delle prime fondate in Europa, e poi è la città di S.Antonio, quello che da noi si chiama “da Padova”, ma che qui è chiamato “da Lisboa” essendovi nato prima di trasferirsi, appunto, a Coimbra. Noi due Antonii non potevamo esimerci quindi dal transitare, anche se personalmente non ho mai operato una scelta meditata fra questo santo e il S.Antonio abate: semplicemente da bambino non volevo celebrare quest’ultimo perché da noi è detto “dei porsei”, quindi mi è rimasto quello di Padova. Presumo di aver comunque deluso equamente entrambi.
Arriviamo in rua da Conimbriga, l’antica città romana nelle vicinanze da cui Coimbra ha tratto origine, e parcheggiamo in prossimità del convento di Santa Clara vecchio e di quello nuovo poco più in alto. Il primo è in ristrutturazione, essendo stato a lungo sommerso dalle acque del rio Mondego che gli scorre a fianco. Attraversiamo il ponte sul più lungo fiume “interamente” portoghese e ci avviciniamo alla città alta per la nostra visita.
Se una città è famosa per il suo “clima universitario”, l’animazione giovanile, le goliardate e tutto i il resto…è meglio non andarci in agosto, quando l’università è chiusa. Ma ormai ci siamo, quindi prendiamo quel che c’è….
Imbocchiamo la A8 e poi la A1 in direzione Coimbra, dove arriviamo abbastanza rapidamente. Le autostrade continuano ad essere scorrevoli e si snodano in un paesaggio di colline, spesso coperte da boschi di eucalipto.
Coimbra è nota come centro universitario, una delle prime fondate in Europa, e poi è la città di S.Antonio, quello che da noi si chiama “da Padova”, ma che qui è chiamato “da Lisboa” essendovi nato prima di trasferirsi, appunto, a Coimbra. Noi due Antonii non potevamo esimerci quindi dal transitare, anche se personalmente non ho mai operato una scelta meditata fra questo santo e il S.Antonio abate: semplicemente da bambino non volevo celebrare quest’ultimo perché da noi è detto “dei porsei”, quindi mi è rimasto quello di Padova. Presumo di aver comunque deluso equamente entrambi.
Arriviamo in rua da Conimbriga, l’antica città romana nelle vicinanze da cui Coimbra ha tratto origine, e parcheggiamo in prossimità del convento di Santa Clara vecchio e di quello nuovo poco più in alto. Il primo è in ristrutturazione, essendo stato a lungo sommerso dalle acque del rio Mondego che gli scorre a fianco. Attraversiamo il ponte sul più lungo fiume “interamente” portoghese e ci avviciniamo alla città alta per la nostra visita.
Se una città è famosa per il suo “clima universitario”, l’animazione giovanile, le goliardate e tutto i il resto…è meglio non andarci in agosto, quando l’università è chiusa. Ma ormai ci siamo, quindi prendiamo quel che c’è….
Per prima cosa visitiamo la cattedrale, secondo Saramago (la mia guida turistica personale) uno dei migliori esempi di romanico in tutto il Portogallo. Sembra anche questa una fortezza, e si è conservata praticamente intatta, dicono le guide. Entriamo solo per una breve visita, trascurando il chiostro a cui diamo solo una sbirciatina dall’ingresso (a pagamento), preferendo risparmiare tempo (e denaro) per la visita all’antica università. Salendo verso questa, sulla sommità della collina, percorriamo le viuzze acciottolate della città studentesca su cui si affacciano le “repubbliche”, le case “autogestite” (che termine tipicamente studentesco….) da gruppi di universitari, dalle antiche origini e tradizioni. Durante i periodi bui della dittatura sembra costituissero delle “zone franche” aperte agli oppositori del regime e da questo tollerate: spesso il potere alleva i suoi figli migliori a pane e libertà, saziandone precocemente la bulimia rivoluzionaria sui banchi di scuola, per ritrovarsi poi con cittadini più accondiscendenti….come diceva un amico: “ a vent’anni vuoi cambiare il mondo, a trenta lo vuoi migliorare, a quaranta va bene com’è…”. È solo questione di aver pazienza, prima o poi anche al giovane più rivoluzionario vengono in mente idee che non condivide, e se proprio non succede…puoi sempre vendergli della droga. L’importante è negare ai giovani gli strumenti per incidere nella realtà: mantenerli nella precarietà scongiura il cambiamento, salvaguarda il sistema. Ma questa è solo sociologia degli anni ’70, quando ancora non avevo nemmeno vent’anni; ora che ne ho quasi cinquanta…rischio l’irrancidimento del conservatore andato a male. Quindi massimo rispetto per i giovani che abitano queste dimore e tutte le università del mondo: a loro vada un pensiero di (credo…) don Mazzolari: “il povero non può permettersi di essere ignorante…”. Il problema è che basta accendere la televisione per ascoltare il messaggio esattamente opposto: diventa ricco e fai quel cazzo che ti pare (compreso restare ignorante…che mme frega?). La differenza è tutta qui: la conoscenza non elimina la povertà, i poveri meno ignoranti non sono meno poveri, ma hanno gli strumenti per capire l’origine della loro povertà, e forse i loro figli, domani, saranno tutti meno poveri. È questa la strada che ci ha portato fin qui, con il sillabario sotto braccio. Dall’altra parte c’è il paese dei balocchi….dove alla fine uno solo comanda, e gli altri sono bestie da soma. (ma Collodi l’avrà saputo di essere un comunista…?)
Il ruolo della conoscenza e il suo rapporto con il potere nei secoli passati sono ben rappresentati, nell’antica università di Coimbra, da alcuni locali poco frequentati dai turisti. In fondo ad una scala, sotto la grandiosa biblioteca, ci sono le antiche celle dell’università, dove studenti e professori colpevoli di qualsivoglia reato scontavano la pena, non potendo mischiarsi con il popolo nelle carceri ad esso riservate. Gli accademici ed i loro discepoli costituivano quasi un ordine religioso ( e spesso ne erano effettivamente parte) alla corte del regnante: facile pensare che i loro studi e ricerche fossero in qualche modo “condizionati” dalla situazione contingente. Probabilmente il re, ricco e potente finanziatore, passava ruttando per le auguste sale sovrastanti, irridendo al sussiego dei suoi protetti uomini di scienza. I moderni mecenati dei futuri centri di ricerca privatizzati riusciranno a mantenere certamente comportamenti più corretti, non dovendo nemmeno manipolare volgari tintinnanti monete o fruscianti banconote, grazie a questa era di transazioni elettroniche….
Ma la sostanza è questa: nell’età moderna il tema della conoscenza ha a che fare con la democrazia, se diventa un problema di economia…si torna al medioevo prossimo venturo. Ma lasciamo queste riflessioni per niente turistiche e riprendiamo il cammino….
Arriviamo in cima alla collina e restiamo un poco delusi dalle architetture che ci accolgono. Ci aspettavamo una città antica e invece siamo circondati dai palazzi universitari in stile “ventennio”, come si direbbe in Italia. Nel complesso hanno l’aria un po’ trasandata di tutte le nostre università (pubbliche), e senza gli studenti sono anche un po’ tristi. Antonio e Tina optano per una deviazione anticipata al giardino botanico, dove fissiamo l’appuntamento per il pranzo, mentre io a Marina iniziamo la visita ai locali dell’antica università. Accediamo alla corte attraverso la “porta ferrea” e saliamo le scalinate verso i locali più famosi, come la storica sala dove si discutevano le tesi. L’insieme ha l’aria un po’ “polverosa” delle parrucche bianche di allora, tuttavia il progresso è passato attraverso i cervelli che ci stavano sotto (alle parrucche…), quindi l’insieme ha un suo fascino. Il pezzo forte è senz’altro la “biblioteca Joanina”, un edificio barocco contenente circa 250 mila volumi, perlopiù antichi: un’apoteosi per gli amanti dei libri. Il percorso consentito non permette nemmeno di sfiorarli, riusciamo solo a leggere alcuni titoli sui dorsi, tutti in latino. Credo ci sia più memoria viva dei nostri predecessori dentro una biblioteca come questa che non in tutti i mausolei o monumenti funebri del mondo: forse è per questo che c’è più gente che scrive rispetto a quella che legge (..me compreso…).
La guida ci spiega che di notte qui dentro svolazzano i pipistrelli, mantenuti appositamente in loco in funzione insettivora….forse si aggireranno anche gli spiriti degli autori, desiderosi di correggere il finale delle loro opere, ora che hanno conosciuto quello delle loro esistenze……
Lasciamo questa visione un po’ lugubre e torniamo al sole di Coimbra, dirigendoci verso il parco dove consumeremo i soliti panini in compagnia degli amici che ci hanno preceduto. Per il caffè ci fermiamo in un locale un po’ trasandato, appena sotto il piazzale delle università. Il gestore ha l’aria di uno avvezzo a costanti scontri con i giovani studenti, e anche adesso che è tempo di pace mantiene l’atteggiamento a spese dei turisti: Tina osa chiedergli un secondo caffè e subisce un evidente rimbrotto. Decidiamo che l’eccessivo costante contatto con la scienza gli ha un po’ bruciato le sinapsi…a volte capita.
Scendiamo alla “baixa” attraverso le viuzze della città vecchia e riattraversiamo il ponte nello sventolio degli stendardi municipali: alle nostre spalle l’antica capitale portoghese raccolta sulla collina appare più bella di quanto non ci sia sembrata da vicino. Forse la sua bellezza non è “monumentale”, ma culturale e sociale….e noi non l’abbiamo potuto cogliere.
Riprendiamo l’autostrada A1 verso nord per abbandonarla all’altezza di Aveiro, dirigendoci verso la costa. Questa cittadina ha conosciuto i suoi momenti di gloria nel 15° secolo, come base marittima della flotta portoghese dedita alla pesca del merluzzo. Poi una mareggiata ne chiuse l’accesso al mare, e da porto sicuro si trasformò in laguna salmastra, andando incontro a rapida decadenza. Nel secolo scorso, grazie ad opere idrauliche, la “barra” è stata riaperta, e i pescherecci sono tornati a navigare lungo il canale fino al mare aperto…peccato che nel frattempo sia finito il merluzzo…
La parte più interessante è la vasta zona lagunare che si stende verso nord lungo la costa per una trentina di chilometri, riserva faunistica e naturalistica, ma non abbiamo tempo per addentrarci in quella direzione, quindi optiamo per la Praia da Barra, proprio allo sbocco del canale che da Averio conduce all’oceano, dove la guida informa essere situato “il più alto Faro del Portogallo”: non possiamo negare ad Antonio la soddisfazione di vederlo. Tralasciamo la città, che forse meriterebbe una visita, e attraversiamo una zona portuale-industriale-palustre di nessun interesse fino alla località marittima moderna e decisamente turistica, affacciata su un mare non molto invitante. Il vento si fa ancora sentire, quindi decidiamo di accoccolarci al riparo di una lunga diga che delimita il canale d’accesso, trovando un piccolo spazio fra i bagnanti, comunque numerosi. Con Marina camminiamo lungo la spiaggia, tormentata dal vento e dalle onde dell’oceano che si frangono un po’ al largo, sollevando una spuma che all’orizzonte quasi nasconde in un pulviscolo nebbioso la linea della costa. Poca gente affronta l’acqua, qualche neofita del surf prova a destreggiarsi sulle onde senza molto successo: ci confermiamo nell’impressione che la principale attrattiva di questo paese non siano i bagni di mare…
Il ruolo della conoscenza e il suo rapporto con il potere nei secoli passati sono ben rappresentati, nell’antica università di Coimbra, da alcuni locali poco frequentati dai turisti. In fondo ad una scala, sotto la grandiosa biblioteca, ci sono le antiche celle dell’università, dove studenti e professori colpevoli di qualsivoglia reato scontavano la pena, non potendo mischiarsi con il popolo nelle carceri ad esso riservate. Gli accademici ed i loro discepoli costituivano quasi un ordine religioso ( e spesso ne erano effettivamente parte) alla corte del regnante: facile pensare che i loro studi e ricerche fossero in qualche modo “condizionati” dalla situazione contingente. Probabilmente il re, ricco e potente finanziatore, passava ruttando per le auguste sale sovrastanti, irridendo al sussiego dei suoi protetti uomini di scienza. I moderni mecenati dei futuri centri di ricerca privatizzati riusciranno a mantenere certamente comportamenti più corretti, non dovendo nemmeno manipolare volgari tintinnanti monete o fruscianti banconote, grazie a questa era di transazioni elettroniche….
Ma la sostanza è questa: nell’età moderna il tema della conoscenza ha a che fare con la democrazia, se diventa un problema di economia…si torna al medioevo prossimo venturo. Ma lasciamo queste riflessioni per niente turistiche e riprendiamo il cammino….
Arriviamo in cima alla collina e restiamo un poco delusi dalle architetture che ci accolgono. Ci aspettavamo una città antica e invece siamo circondati dai palazzi universitari in stile “ventennio”, come si direbbe in Italia. Nel complesso hanno l’aria un po’ trasandata di tutte le nostre università (pubbliche), e senza gli studenti sono anche un po’ tristi. Antonio e Tina optano per una deviazione anticipata al giardino botanico, dove fissiamo l’appuntamento per il pranzo, mentre io a Marina iniziamo la visita ai locali dell’antica università. Accediamo alla corte attraverso la “porta ferrea” e saliamo le scalinate verso i locali più famosi, come la storica sala dove si discutevano le tesi. L’insieme ha l’aria un po’ “polverosa” delle parrucche bianche di allora, tuttavia il progresso è passato attraverso i cervelli che ci stavano sotto (alle parrucche…), quindi l’insieme ha un suo fascino. Il pezzo forte è senz’altro la “biblioteca Joanina”, un edificio barocco contenente circa 250 mila volumi, perlopiù antichi: un’apoteosi per gli amanti dei libri. Il percorso consentito non permette nemmeno di sfiorarli, riusciamo solo a leggere alcuni titoli sui dorsi, tutti in latino. Credo ci sia più memoria viva dei nostri predecessori dentro una biblioteca come questa che non in tutti i mausolei o monumenti funebri del mondo: forse è per questo che c’è più gente che scrive rispetto a quella che legge (..me compreso…).
La guida ci spiega che di notte qui dentro svolazzano i pipistrelli, mantenuti appositamente in loco in funzione insettivora….forse si aggireranno anche gli spiriti degli autori, desiderosi di correggere il finale delle loro opere, ora che hanno conosciuto quello delle loro esistenze……
Lasciamo questa visione un po’ lugubre e torniamo al sole di Coimbra, dirigendoci verso il parco dove consumeremo i soliti panini in compagnia degli amici che ci hanno preceduto. Per il caffè ci fermiamo in un locale un po’ trasandato, appena sotto il piazzale delle università. Il gestore ha l’aria di uno avvezzo a costanti scontri con i giovani studenti, e anche adesso che è tempo di pace mantiene l’atteggiamento a spese dei turisti: Tina osa chiedergli un secondo caffè e subisce un evidente rimbrotto. Decidiamo che l’eccessivo costante contatto con la scienza gli ha un po’ bruciato le sinapsi…a volte capita.
Scendiamo alla “baixa” attraverso le viuzze della città vecchia e riattraversiamo il ponte nello sventolio degli stendardi municipali: alle nostre spalle l’antica capitale portoghese raccolta sulla collina appare più bella di quanto non ci sia sembrata da vicino. Forse la sua bellezza non è “monumentale”, ma culturale e sociale….e noi non l’abbiamo potuto cogliere.
Riprendiamo l’autostrada A1 verso nord per abbandonarla all’altezza di Aveiro, dirigendoci verso la costa. Questa cittadina ha conosciuto i suoi momenti di gloria nel 15° secolo, come base marittima della flotta portoghese dedita alla pesca del merluzzo. Poi una mareggiata ne chiuse l’accesso al mare, e da porto sicuro si trasformò in laguna salmastra, andando incontro a rapida decadenza. Nel secolo scorso, grazie ad opere idrauliche, la “barra” è stata riaperta, e i pescherecci sono tornati a navigare lungo il canale fino al mare aperto…peccato che nel frattempo sia finito il merluzzo…
La parte più interessante è la vasta zona lagunare che si stende verso nord lungo la costa per una trentina di chilometri, riserva faunistica e naturalistica, ma non abbiamo tempo per addentrarci in quella direzione, quindi optiamo per la Praia da Barra, proprio allo sbocco del canale che da Averio conduce all’oceano, dove la guida informa essere situato “il più alto Faro del Portogallo”: non possiamo negare ad Antonio la soddisfazione di vederlo. Tralasciamo la città, che forse meriterebbe una visita, e attraversiamo una zona portuale-industriale-palustre di nessun interesse fino alla località marittima moderna e decisamente turistica, affacciata su un mare non molto invitante. Il vento si fa ancora sentire, quindi decidiamo di accoccolarci al riparo di una lunga diga che delimita il canale d’accesso, trovando un piccolo spazio fra i bagnanti, comunque numerosi. Con Marina camminiamo lungo la spiaggia, tormentata dal vento e dalle onde dell’oceano che si frangono un po’ al largo, sollevando una spuma che all’orizzonte quasi nasconde in un pulviscolo nebbioso la linea della costa. Poca gente affronta l’acqua, qualche neofita del surf prova a destreggiarsi sulle onde senza molto successo: ci confermiamo nell’impressione che la principale attrattiva di questo paese non siano i bagni di mare…
All’orizzonte, nell’assoluta piattezza circostante da cui proveniamo, svetta il famoso faro dalle classiche righe rosse e bianche: non è di quelli che piacciono ad Antonio, lui predilige i fari “di scoglio”, solitari fra i marosi dell’oceano, mentre questo è insidiato dalle case di vacanza che lo circondano da tutti i lati. Tornando all’auto cercherà comunque un’inquadratura fotografica che gli renda merito, visto che comunque resta il più alto del Portogallo….
Lasciamo il mare, e sarà l’ultimo di questo viaggio, verso sera, indecisi se fermarci a cena in qualche locale lungo la spiaggia o proseguire, ma poi preferiamo il ristoro dell’albergo al ristorante e risaliamo verso Porto lungo la Auto-estrada do Norte.
L’Hotel Antas è “situato in una piazza tranquilla, nella parte occidentale di Porto, offre una posizione conveniente per beneficiare dei mezzi di trasporto pubblico, che vi condurranno facilmente al centro storico della città….”. Questo è quello che nel gergo pubblicitario si intende per periferia (la frase è presa dal sito dell’hotel…), ma almeno ci arriviamo rapidamente, dopo aver scavalcato il Douro su uno dei famosi ponti di Porto. Qui il traffico è più intenso, questa è la Milano del Portogallo, dove si dice che “a Lisbona si canta, a Porto si lavora…”. È curioso come ogni nazione abbia il suo sud da stramaledire: bisognerebbe indagare come funziona nell’altro emisfero, ma credo che in sostanza si tratti di decidere qual è il punto cardinale verso cui scaricare le colpe dei mali nazionali, perchè alla fine un “altro da sé” si trova sempre….
Tutto sommato l’albergo è un tre stelle decoroso, con dei letti sufficientemente ampi, considerate le “mezze piazze” dove ci è capitato di dormire qualche volta, e una giovane “receptionist” che si sforza di indicarci un posto per mangiare nei paraggi, dato che fra una cosa e l’altra, si và facendo notte. Le indicazioni sono dettagliate e corredate da una mappa, ma del ristorante in Rua da Vigorosa non c’è traccia; chiedo a una tizia seduta su un gradino, sfoderando il mio Inglese, ma poi mi accorgo che sta viaggiando talmente lontano che le dovrei parlare in qualche dialetto galattico per sperare di essere compreso….Marina insiste per tornare verso zone più luminose, perché la “posizione conveniente per beneficiare dei mezzi di trasporto” significa pur sempre periferia….
Alla fine scorgiamo l’italica insegna “pizza” all’orizzonte, e come naviganti portoghesi in vista della costa ci precipitiamo verso il locale (prima che chiuda, data l’ora…e la scarsa umanità circostante). Il gestore del locale (che ha l’aria di reggersi con le consegne a domicilio) si da da fare con i menù per trovare il modo di farci risparmiare: ma è così evidente la nostra condizione economica? Alla fine decide che per noi va bene una pizza grande divisa in quattro, e non rompete le balle che sono le nove passate…e siete gli ultimi (gli unici?) clienti della serata.
Consumiamo la nostra terza pizza della vacanza (con buona pace dei 365 menù a base di baccalà…), e tutto sommato non è neppure male, poi riconquistiamo rapidamente l’albergo, dato che l’unico monumento turisticamente degno di nota nei paraggi è lo stadio di calcio….Domani ci aspetta un’altra giornata di intensi andirivieni urbani, quindi ci ritiriamo a studiare le guide e le brochure dell’albergo….più efficaci di una ninna-nanna.
Lasciamo il mare, e sarà l’ultimo di questo viaggio, verso sera, indecisi se fermarci a cena in qualche locale lungo la spiaggia o proseguire, ma poi preferiamo il ristoro dell’albergo al ristorante e risaliamo verso Porto lungo la Auto-estrada do Norte.
L’Hotel Antas è “situato in una piazza tranquilla, nella parte occidentale di Porto, offre una posizione conveniente per beneficiare dei mezzi di trasporto pubblico, che vi condurranno facilmente al centro storico della città….”. Questo è quello che nel gergo pubblicitario si intende per periferia (la frase è presa dal sito dell’hotel…), ma almeno ci arriviamo rapidamente, dopo aver scavalcato il Douro su uno dei famosi ponti di Porto. Qui il traffico è più intenso, questa è la Milano del Portogallo, dove si dice che “a Lisbona si canta, a Porto si lavora…”. È curioso come ogni nazione abbia il suo sud da stramaledire: bisognerebbe indagare come funziona nell’altro emisfero, ma credo che in sostanza si tratti di decidere qual è il punto cardinale verso cui scaricare le colpe dei mali nazionali, perchè alla fine un “altro da sé” si trova sempre….
Tutto sommato l’albergo è un tre stelle decoroso, con dei letti sufficientemente ampi, considerate le “mezze piazze” dove ci è capitato di dormire qualche volta, e una giovane “receptionist” che si sforza di indicarci un posto per mangiare nei paraggi, dato che fra una cosa e l’altra, si và facendo notte. Le indicazioni sono dettagliate e corredate da una mappa, ma del ristorante in Rua da Vigorosa non c’è traccia; chiedo a una tizia seduta su un gradino, sfoderando il mio Inglese, ma poi mi accorgo che sta viaggiando talmente lontano che le dovrei parlare in qualche dialetto galattico per sperare di essere compreso….Marina insiste per tornare verso zone più luminose, perché la “posizione conveniente per beneficiare dei mezzi di trasporto” significa pur sempre periferia….
Alla fine scorgiamo l’italica insegna “pizza” all’orizzonte, e come naviganti portoghesi in vista della costa ci precipitiamo verso il locale (prima che chiuda, data l’ora…e la scarsa umanità circostante). Il gestore del locale (che ha l’aria di reggersi con le consegne a domicilio) si da da fare con i menù per trovare il modo di farci risparmiare: ma è così evidente la nostra condizione economica? Alla fine decide che per noi va bene una pizza grande divisa in quattro, e non rompete le balle che sono le nove passate…e siete gli ultimi (gli unici?) clienti della serata.
Consumiamo la nostra terza pizza della vacanza (con buona pace dei 365 menù a base di baccalà…), e tutto sommato non è neppure male, poi riconquistiamo rapidamente l’albergo, dato che l’unico monumento turisticamente degno di nota nei paraggi è lo stadio di calcio….Domani ci aspetta un’altra giornata di intensi andirivieni urbani, quindi ci ritiriamo a studiare le guide e le brochure dell’albergo….più efficaci di una ninna-nanna.
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