La giornata inizia con la prima esperienza mistica dei Pasticcini di Belem ( che in realtà per ora sono definiti solo “cacchio che buoni ‘sti dolcetti..”, dovendo ancora scoprirne il nome). Saccheggiamo il buffet e ci avviamo alla scoperta di Lisbona. Prima di uscire un’occhiata alla tv nella hall. In coda alle notizie importanti (tutte dedicate all’incidente aereo di Madrid) compare il bel faccione sorridente del Silvio nazionale. È la prima volta che passa qualcosa sull’Italia in un notiziario da quando siamo partiti, cosa avrà combinato? Mi avvicino curioso all’apparecchio: la notizia è che lui e il suo amico posteggiatore napoletano stanno preparando un disco per natale….L’unica notizia che ho sentito fin’ora sull’Italia (e che sentirò fino al mio rientro) è che il nostro presidente del consiglio scrive canzoni per natale….Mi allontano pensando di fischiettare con indifferenza la marsigliese per mimetizzarmi fingendomi francese, ma poi ricordo che la moglie di Sarkozy ha appena inciso il suo secondo disco….Ma in che mondo viviamo?!
Eccoci qui, la città ci aspetta…e noi aspettiamo per venti minuti l’impiegata dell’albergo che è uscita a comperarci i biglietti della metro e del tram compresi con il pernottamento (offerta speciale catturata da Antonio nel corso delle sue scorribande prenotatorie). Quando arriva ci spiega tutta una serie di cose che siamo convinti di aver capito, salvo scoprire poi a nostre spese che non è così. Comunque non ci faremo certo fermare da un “biglietto ricaricabile a corsa multipla, con scadenza oraria ma utilizzabile su metro e tram, a obliterazione elettronica mediante radiofrequenza ecc. ecc. “ (che di questo ci ha parlato, la signorina, un po’ in inglese e un po’ in portoghese…pensa un po’!). Cartine alla mano infiliamo la metro verso la stazione Baixa-Chiado. Veramente Marina si fa fermare proprio dal suo “biglietto ricaricabile a corsa multipla, con scadenza oraria ma utilizzabile su metro e tram, a obliterazione elettronica mediante radiofrequenza”, tecnologia certamente d’avanguardia ma forse ancora non perfettamente rodata, a giudicare da come gli addetti maneggiano imprecando la tesserina cercando di far scattare il cancelletto, rassegnandosi poi a farla passare dall’ingresso di servizio…infondo siamo a Lisbona, mica Londra o NewYork, baby…
Anche Lisbona vive nel mio immaginario attraverso i racconti di Saramago. Ne “L’anno della morte di Ricardo Reis” ho passeggiato per le sue vie a fianco dell’autore, ed ora cerco di ricordare qualcuno di quei nomi: l’albergo in Rua do Alecrim, la piazza con il monumento a Camoes e il belvedere con la scultura di Adamastor, con le panchine ed i giornali contesi fra il personaggio principale ed i vecchi pensionati…Bisognerebbe sempre visitare una città in compagnia di un suo abitante, di un amico del posto che ne sappia svelare il volto dietro i monumenti indicati dalle guide…
Nemmeno la statua di Pessoa seduto al tavolino riesco a trovare: scoprirò solo poi che era in rua Garrett, al cafè A Brasileira, ci siamo anche passati…
Una volta tornato rileggerò le pagine del libro ripercorrendo con Saramago-Reis, in una Lisbona spesso piovosa, alcuni dei percorsi suggeriti anche dalle guide e quindi seguiti da noi, turisti obbedienti: la piazza di Camoes, le rovine gotiche della chiesa do Carmo con l’ascensore per la baixa, la chiesa di s.Rocco e la sua cappella a San Giovanni, il Barrio alto….. Usciamo dal Barrio alto, tranquillo nel sole del mattino, ma con in terra fuori dai locali i segni di una notte movimentata, passando per Travessa da Cara e salendo sul belvedere: il panorama sulla città spazia dalla zona residenziale degli alberghi fino al fiume, con di fronte il castello. Decidiamo di scendere lungo il percorso della funicolare fino ai Restauradores, entrando poi nel Rossio, il cuore di Lisbona.
Qualche foto ricordo al selciato della piazza, famoso per il suo effetto ottico “ondulante” e poi ci spostiamo verso la chiesa di S.Domenico. Attraversiamo un assembramento “etnico”, raccolto intorno ad un muro su cui campeggia, in tutte le lingue del mondo, la frase “Lisbona, città della tolleranza”. In fondo una città che si presenta all’insegna della “ristrutturazione” e della “tolleranza” suscita più simpatia di tante nostre capitali tutte orientate all’abbattimento per nuove costruzioni e all’intolleranza nei rapporti umani…
Lì a fianco c’è la chiesa di S.Domenico, antica sede dell’inquisizione portoghese. Già questo non induce a simpatia; lo stesso santo, nella mia scarsa cultura storica, ricorda epoche di scannamenti reciproci all’insegna del Dio più vero e dell’eresia peggiore, con le prime crociate contro gli Albigesi e le pire per gli eretici. E’ vero che ora l’iconografia ufficiale tende ad attribuire a Domenico Guzman molte meno responsabilità dirette nelle violenze di quell’epoca, ma quale sarà la verità? Anche nella chiesa il revisionismo storico ne ha combinate delle belle….
In ogni caso entro, con tutto il peso delle mie prevenzioni su un’epoca buia della chiesa, e lo spettacolo che appare è a dir poco ….paradigmatico. L’interno, sotto il permanere di paramenti sacri che non riescono a nascondere nulla, appare come devastato dal tempo. Colonne parzialmente sgretolate dal terremoto del 1700 continuano a reggere il peso delle volte, mentre il un lato del transetto rimangono evidenti le tracce di un incendio più recente. Nell’insieme un senso di decrepitezza e nello stesso tempo di naturalità, quasi si trattasse di una grotta adattata a luogo di culto. Solo le volte sembrano ristrutturate di recente. Mi chiedo se questo edificio non possa essere assunto ad immagine della chiesa di oggi: profondamente segnata dal tempo e nello stesso tempo sufficientemente solida da reggere le volte per accogliere i fedeli….ma fino a quando? A quando la prossima scossa, destinata a far crollare la cupola? “ le forze del male non prevarranno su di essa….”, visto da questo estremo occidente suggerisce un po’ l’immagine della fortezza assediata: forse dovremmo lasciare che la fortezza ricada su se stessa, preoccupandoci solo che nessuno ci rimanga sotto, tornando a celebrare la gloria di Dio sotto la volta del cielo…..
Mi ridesto dallo slancio mistico uscendo alla luce della via, sulla porta il solito mendicante esibisce un cartello ed allunga una mano. Giro la testa dall’altra parte, giusto per leggere il richiamo alla tolleranza….e allora non mi resta che fissare in terra e tirare dritto, come fanno tutti quelli che parlano del cielo senza mai guardarlo, preferendo controllare bene dove mettono i piedi…
Ci ricongiungiamo con Tina e Antonio, già un po’ saturi di chiese e intenti a fotografare i lustrascarpe, per dirigerci verso il Terreiro do Paco, o Praca do Commercio, affacciata sul fiume. Scendiamo lungo la passeggiata elegante di Lisbona, la rua Augusta, sostando ogni tanto davanti ai soliti mimi più o meno immobili, statue dorate o argentate intente a guadagnarsi qualcosa nelle pose più insolite o naturali, tormentate dai bambini dei turisti che cercano di scuoterli dalla loro staticità.
Alla fine passiamo sotto l’arco che schiude la piazza di fronte al mare, o meglio al fiume, che però, per vastità sembra più al primo. Anche qui fervono i lavori, nuove stazioni di metropolitana. Ci prendiamo una pausa sulle panche; la stanchezza comincia a farsi sentire e gli stomaci pure, ma non c’è traccia nei paraggi di un posto adatto alla sosta ristoratrice….Così finiamo a mangiare panini in un giardinetto di fronte alla stazione marittima, posto alquanto infelice che non induce a soste prolungate. Siamo ai confini dell’Alfamà, non più centro elegante, non ancora “turisticità” pittoresca: nel complesso un angolo di classico degrado portuale.
Torniamo verso il centro per un caffè e poi risaliamo la collina verso il castello, in direzione della Sé (cattedrale) e dell’Alfamà. Questa era la antica città araba, la stessa cattedrale è stata ricostruita (motivo ricorrente in Portogallo) sopra una precedente moschea. Chissà se Dio, dall’alto, si è accorto della differenza….Da qui sotto, nel complesso, appare più come una fortezza che un luogo di preghiera. Dopo una rapida visita la costeggiamo lungo Rua de Sao Joao, seguendo le indicazioni della guida, per addentrarci nell’intrico dell’Alfamà. Costruita sulla roccia, dice la guida, il che l’ha preservata dalla distruzione del terremoto, ricalca l’urbanistica disordinata dei centri arabi: scale e viuzze che salgono e scendono, e in ogni angolo un locale per turisti, vinho verde e fado, almeno nei percorsi più frequentati. Se ci si allontana da questi ( e può capitare se non si capisce bene da che parte girare la mappa….) ci si ritrova in angoli meno rassicuranti…Lungo la strada scegliamo un locale per la cena, a cui tornare più tardi, fra i tanti che incrociamo. Scopriremo poi che è pure segnalato sulla guida, il che forse non guasta. Alla fine, dopo aver più volte sbagliato strada e dopo le uniche quattro goccie di pioggia in quindici giorni di vacanza, sbuchiamo di fronte al monastero di S.Vicente e ai suoi rinomati azuleios, che però sono dentro, dove li lasciamo…Proseguiamo in direzione del castello, transitando per il Patio de Dom Fradique. L’apparenza è quella di un angolo di Lisbona in attesa della “restructuracao”, ma da molto….Scoprirò poi che è così da prima del 1994, set cinematografico per “Lisbon Story” di W.Wenders (mai visto…). Macerie cristallizzate…mi sfugge la dimensione artistica, ma certamente ci sarà….Da lì si accede alla cerchia delle mura e al piccolo villaggio racchiuso al suo interno. Gironzoliamo un po’, evitando l’accesso a pagamento sui bastioni, convinti che il panorama non sia molto diverso da quello godibile poco più in basso. Lungo la Costa do Castelo che percorriamo in direzione del Largo da Graca incrociamo un posto strano, una specie di ristoro pubblico. L’insegna sull’ingresso rimanda a qualche gestione municipale delle mense: è una grande terrazza affacciata sulla città, popolata da varia umanità, per lo più giovani, svaccata sulla più eterogenea tipologia di sedili, sedie, sdraio e divani che si possa immaginare. Scegliamo delle sdraio di metallo, tendenzialmente più igenico, di fattura artigianale, senza dubbio prive di qualsiasi marchio di sicurezza, come di lì a poco confermerà la caduta di un avventore, e ci uniamo alla compagnia. Facciamo anche un timido tentativo di ordinare qualcosa al bancone, ma ci rimandano a sedere….va beh, ci godiamo il panorama….credo che Tina abbia fatto anche un pisolino. Il pomeriggio è inoltrato e non possiamo restare molto; in lontananza le nuvole sembrano scaricare pioggia, ma non arriverà fino qui. Ci aspetta un ultimo sforzo in salita fino al Largo da Graca e al suo belvedere, non molto dissimile, come veduta, da quella godibile dalla terrazza di prima. Scatto qualche foto a una distesa di tetti rattoppati poco più sotto, e poi ci dirigiamo verso la fermata del mitico Tram 28, raccomandato dalle guide e anche da Lory e Ugo. L’idea è di tornare verso la metropolitana sfruttando il famoso “biglietto ricaricabile a corsa multipla ecc. ecc..”, ma scopriamo che è scaduto da un pezzo, quindi paghiamo la corsa al tramviere e ci accomodiamo…nel limite del possibile. Nel complesso l’esperienza è più simile a quella dell’ottovolante che al tour turistico; il guidatore ci mette del suo, con una certa soddisfazione, a giudicare da come sbircia ridacchiando dallo specchietto i passeggeri che ondeggiano appesi ai sostegni….Scendiamo lungo l’Alfamà verso la Cattedrale, incrociando i belvedere che abbiamo mancato prima, per il mio maldestro utilizzo della cartina, ma siamo troppo intenti a stare in piedi per guardare il paesaggio, pur bello. Il tram attraversa la Baixa e risale il Barrio alto, in un continuo su e giù a velocità inopportune per le condizioni del traffico: le auto posteggiate lungo il percorso denotano un attento studio delle dimensioni e delle traiettorie di marcia dell’ “electrico 28”, cosa che avrà forse richiesto il sacrificio sperimentale di diversi paraurti…Alla fine sbarchiamo di fronte alla Basilica da Estrela: fu costruita per ottemperare a un “voto di maternità” esaudito, un erede al trono portoghese, che però non visse abbastanza per vederla finita. Magra consolazione per i tanti figli di nessuno nati e morti senza nemmeno costruire un castello di sabbia: nel mal comune, infondo, non c’è gaudio….
Di fronte alla chiesa si stende il parco omonimo, che percorriamo verso largo do Rato e la stazione metro più vicina, per un ritorno ristoratore all’albergo prima dell’uscita bynight.
Per la cena abbiamo già deciso posto e munù, sardinha asada e vinho verde all’Alfamà: banale, ma si deve ( e costa anche poco…). Solo Marina sceglie per un derivato della cucina italica, che nemmeno ricordo…forse tagliatelle? In tutto il quartiere risuonano le voci dei cantanti di Fado: finalmente sentiamo la tipica melodia portoghese….non ci dispiace più di tanto che in questo locale non sia prevista qualche esibizione dal vivo. Dopo la cena risaliamo un tratto la collina, fino al belvedere di S.Lucia, solo intravisto dal tram 28. La notte arrotonda gli spigoli del paesaggio, nasconde i borghi fatiscenti e valorizza i monumenti, illuminati dai fari di sotto e dalla luna piena di sopra: il mare di fronte fa il resto, si può credere che sia un posto incantevole, almeno fino a domani mattina. Ritorniamo a Praca do Comercio per prendere la metro che ci riporta in albergo. La nuova stazione postmoderna è enorme e deserta, molto più inquietante, nella sua abbagliante luce artificiale, del buio di sopra….affrettiamo il passo lungo i corridoi.
Eccoci qui, la città ci aspetta…e noi aspettiamo per venti minuti l’impiegata dell’albergo che è uscita a comperarci i biglietti della metro e del tram compresi con il pernottamento (offerta speciale catturata da Antonio nel corso delle sue scorribande prenotatorie). Quando arriva ci spiega tutta una serie di cose che siamo convinti di aver capito, salvo scoprire poi a nostre spese che non è così. Comunque non ci faremo certo fermare da un “biglietto ricaricabile a corsa multipla, con scadenza oraria ma utilizzabile su metro e tram, a obliterazione elettronica mediante radiofrequenza ecc. ecc. “ (che di questo ci ha parlato, la signorina, un po’ in inglese e un po’ in portoghese…pensa un po’!). Cartine alla mano infiliamo la metro verso la stazione Baixa-Chiado. Veramente Marina si fa fermare proprio dal suo “biglietto ricaricabile a corsa multipla, con scadenza oraria ma utilizzabile su metro e tram, a obliterazione elettronica mediante radiofrequenza”, tecnologia certamente d’avanguardia ma forse ancora non perfettamente rodata, a giudicare da come gli addetti maneggiano imprecando la tesserina cercando di far scattare il cancelletto, rassegnandosi poi a farla passare dall’ingresso di servizio…infondo siamo a Lisbona, mica Londra o NewYork, baby…
Anche Lisbona vive nel mio immaginario attraverso i racconti di Saramago. Ne “L’anno della morte di Ricardo Reis” ho passeggiato per le sue vie a fianco dell’autore, ed ora cerco di ricordare qualcuno di quei nomi: l’albergo in Rua do Alecrim, la piazza con il monumento a Camoes e il belvedere con la scultura di Adamastor, con le panchine ed i giornali contesi fra il personaggio principale ed i vecchi pensionati…Bisognerebbe sempre visitare una città in compagnia di un suo abitante, di un amico del posto che ne sappia svelare il volto dietro i monumenti indicati dalle guide…
Nemmeno la statua di Pessoa seduto al tavolino riesco a trovare: scoprirò solo poi che era in rua Garrett, al cafè A Brasileira, ci siamo anche passati…
Una volta tornato rileggerò le pagine del libro ripercorrendo con Saramago-Reis, in una Lisbona spesso piovosa, alcuni dei percorsi suggeriti anche dalle guide e quindi seguiti da noi, turisti obbedienti: la piazza di Camoes, le rovine gotiche della chiesa do Carmo con l’ascensore per la baixa, la chiesa di s.Rocco e la sua cappella a San Giovanni, il Barrio alto….. Usciamo dal Barrio alto, tranquillo nel sole del mattino, ma con in terra fuori dai locali i segni di una notte movimentata, passando per Travessa da Cara e salendo sul belvedere: il panorama sulla città spazia dalla zona residenziale degli alberghi fino al fiume, con di fronte il castello. Decidiamo di scendere lungo il percorso della funicolare fino ai Restauradores, entrando poi nel Rossio, il cuore di Lisbona.
Qualche foto ricordo al selciato della piazza, famoso per il suo effetto ottico “ondulante” e poi ci spostiamo verso la chiesa di S.Domenico. Attraversiamo un assembramento “etnico”, raccolto intorno ad un muro su cui campeggia, in tutte le lingue del mondo, la frase “Lisbona, città della tolleranza”. In fondo una città che si presenta all’insegna della “ristrutturazione” e della “tolleranza” suscita più simpatia di tante nostre capitali tutte orientate all’abbattimento per nuove costruzioni e all’intolleranza nei rapporti umani…
Lì a fianco c’è la chiesa di S.Domenico, antica sede dell’inquisizione portoghese. Già questo non induce a simpatia; lo stesso santo, nella mia scarsa cultura storica, ricorda epoche di scannamenti reciproci all’insegna del Dio più vero e dell’eresia peggiore, con le prime crociate contro gli Albigesi e le pire per gli eretici. E’ vero che ora l’iconografia ufficiale tende ad attribuire a Domenico Guzman molte meno responsabilità dirette nelle violenze di quell’epoca, ma quale sarà la verità? Anche nella chiesa il revisionismo storico ne ha combinate delle belle….
In ogni caso entro, con tutto il peso delle mie prevenzioni su un’epoca buia della chiesa, e lo spettacolo che appare è a dir poco ….paradigmatico. L’interno, sotto il permanere di paramenti sacri che non riescono a nascondere nulla, appare come devastato dal tempo. Colonne parzialmente sgretolate dal terremoto del 1700 continuano a reggere il peso delle volte, mentre il un lato del transetto rimangono evidenti le tracce di un incendio più recente. Nell’insieme un senso di decrepitezza e nello stesso tempo di naturalità, quasi si trattasse di una grotta adattata a luogo di culto. Solo le volte sembrano ristrutturate di recente. Mi chiedo se questo edificio non possa essere assunto ad immagine della chiesa di oggi: profondamente segnata dal tempo e nello stesso tempo sufficientemente solida da reggere le volte per accogliere i fedeli….ma fino a quando? A quando la prossima scossa, destinata a far crollare la cupola? “ le forze del male non prevarranno su di essa….”, visto da questo estremo occidente suggerisce un po’ l’immagine della fortezza assediata: forse dovremmo lasciare che la fortezza ricada su se stessa, preoccupandoci solo che nessuno ci rimanga sotto, tornando a celebrare la gloria di Dio sotto la volta del cielo…..
Mi ridesto dallo slancio mistico uscendo alla luce della via, sulla porta il solito mendicante esibisce un cartello ed allunga una mano. Giro la testa dall’altra parte, giusto per leggere il richiamo alla tolleranza….e allora non mi resta che fissare in terra e tirare dritto, come fanno tutti quelli che parlano del cielo senza mai guardarlo, preferendo controllare bene dove mettono i piedi…
Ci ricongiungiamo con Tina e Antonio, già un po’ saturi di chiese e intenti a fotografare i lustrascarpe, per dirigerci verso il Terreiro do Paco, o Praca do Commercio, affacciata sul fiume. Scendiamo lungo la passeggiata elegante di Lisbona, la rua Augusta, sostando ogni tanto davanti ai soliti mimi più o meno immobili, statue dorate o argentate intente a guadagnarsi qualcosa nelle pose più insolite o naturali, tormentate dai bambini dei turisti che cercano di scuoterli dalla loro staticità.
Alla fine passiamo sotto l’arco che schiude la piazza di fronte al mare, o meglio al fiume, che però, per vastità sembra più al primo. Anche qui fervono i lavori, nuove stazioni di metropolitana. Ci prendiamo una pausa sulle panche; la stanchezza comincia a farsi sentire e gli stomaci pure, ma non c’è traccia nei paraggi di un posto adatto alla sosta ristoratrice….Così finiamo a mangiare panini in un giardinetto di fronte alla stazione marittima, posto alquanto infelice che non induce a soste prolungate. Siamo ai confini dell’Alfamà, non più centro elegante, non ancora “turisticità” pittoresca: nel complesso un angolo di classico degrado portuale.
Torniamo verso il centro per un caffè e poi risaliamo la collina verso il castello, in direzione della Sé (cattedrale) e dell’Alfamà. Questa era la antica città araba, la stessa cattedrale è stata ricostruita (motivo ricorrente in Portogallo) sopra una precedente moschea. Chissà se Dio, dall’alto, si è accorto della differenza….Da qui sotto, nel complesso, appare più come una fortezza che un luogo di preghiera. Dopo una rapida visita la costeggiamo lungo Rua de Sao Joao, seguendo le indicazioni della guida, per addentrarci nell’intrico dell’Alfamà. Costruita sulla roccia, dice la guida, il che l’ha preservata dalla distruzione del terremoto, ricalca l’urbanistica disordinata dei centri arabi: scale e viuzze che salgono e scendono, e in ogni angolo un locale per turisti, vinho verde e fado, almeno nei percorsi più frequentati. Se ci si allontana da questi ( e può capitare se non si capisce bene da che parte girare la mappa….) ci si ritrova in angoli meno rassicuranti…Lungo la strada scegliamo un locale per la cena, a cui tornare più tardi, fra i tanti che incrociamo. Scopriremo poi che è pure segnalato sulla guida, il che forse non guasta. Alla fine, dopo aver più volte sbagliato strada e dopo le uniche quattro goccie di pioggia in quindici giorni di vacanza, sbuchiamo di fronte al monastero di S.Vicente e ai suoi rinomati azuleios, che però sono dentro, dove li lasciamo…Proseguiamo in direzione del castello, transitando per il Patio de Dom Fradique. L’apparenza è quella di un angolo di Lisbona in attesa della “restructuracao”, ma da molto….Scoprirò poi che è così da prima del 1994, set cinematografico per “Lisbon Story” di W.Wenders (mai visto…). Macerie cristallizzate…mi sfugge la dimensione artistica, ma certamente ci sarà….Da lì si accede alla cerchia delle mura e al piccolo villaggio racchiuso al suo interno. Gironzoliamo un po’, evitando l’accesso a pagamento sui bastioni, convinti che il panorama non sia molto diverso da quello godibile poco più in basso. Lungo la Costa do Castelo che percorriamo in direzione del Largo da Graca incrociamo un posto strano, una specie di ristoro pubblico. L’insegna sull’ingresso rimanda a qualche gestione municipale delle mense: è una grande terrazza affacciata sulla città, popolata da varia umanità, per lo più giovani, svaccata sulla più eterogenea tipologia di sedili, sedie, sdraio e divani che si possa immaginare. Scegliamo delle sdraio di metallo, tendenzialmente più igenico, di fattura artigianale, senza dubbio prive di qualsiasi marchio di sicurezza, come di lì a poco confermerà la caduta di un avventore, e ci uniamo alla compagnia. Facciamo anche un timido tentativo di ordinare qualcosa al bancone, ma ci rimandano a sedere….va beh, ci godiamo il panorama….credo che Tina abbia fatto anche un pisolino. Il pomeriggio è inoltrato e non possiamo restare molto; in lontananza le nuvole sembrano scaricare pioggia, ma non arriverà fino qui. Ci aspetta un ultimo sforzo in salita fino al Largo da Graca e al suo belvedere, non molto dissimile, come veduta, da quella godibile dalla terrazza di prima. Scatto qualche foto a una distesa di tetti rattoppati poco più sotto, e poi ci dirigiamo verso la fermata del mitico Tram 28, raccomandato dalle guide e anche da Lory e Ugo. L’idea è di tornare verso la metropolitana sfruttando il famoso “biglietto ricaricabile a corsa multipla ecc. ecc..”, ma scopriamo che è scaduto da un pezzo, quindi paghiamo la corsa al tramviere e ci accomodiamo…nel limite del possibile. Nel complesso l’esperienza è più simile a quella dell’ottovolante che al tour turistico; il guidatore ci mette del suo, con una certa soddisfazione, a giudicare da come sbircia ridacchiando dallo specchietto i passeggeri che ondeggiano appesi ai sostegni….Scendiamo lungo l’Alfamà verso la Cattedrale, incrociando i belvedere che abbiamo mancato prima, per il mio maldestro utilizzo della cartina, ma siamo troppo intenti a stare in piedi per guardare il paesaggio, pur bello. Il tram attraversa la Baixa e risale il Barrio alto, in un continuo su e giù a velocità inopportune per le condizioni del traffico: le auto posteggiate lungo il percorso denotano un attento studio delle dimensioni e delle traiettorie di marcia dell’ “electrico 28”, cosa che avrà forse richiesto il sacrificio sperimentale di diversi paraurti…Alla fine sbarchiamo di fronte alla Basilica da Estrela: fu costruita per ottemperare a un “voto di maternità” esaudito, un erede al trono portoghese, che però non visse abbastanza per vederla finita. Magra consolazione per i tanti figli di nessuno nati e morti senza nemmeno costruire un castello di sabbia: nel mal comune, infondo, non c’è gaudio….
Di fronte alla chiesa si stende il parco omonimo, che percorriamo verso largo do Rato e la stazione metro più vicina, per un ritorno ristoratore all’albergo prima dell’uscita bynight.
Per la cena abbiamo già deciso posto e munù, sardinha asada e vinho verde all’Alfamà: banale, ma si deve ( e costa anche poco…). Solo Marina sceglie per un derivato della cucina italica, che nemmeno ricordo…forse tagliatelle? In tutto il quartiere risuonano le voci dei cantanti di Fado: finalmente sentiamo la tipica melodia portoghese….non ci dispiace più di tanto che in questo locale non sia prevista qualche esibizione dal vivo. Dopo la cena risaliamo un tratto la collina, fino al belvedere di S.Lucia, solo intravisto dal tram 28. La notte arrotonda gli spigoli del paesaggio, nasconde i borghi fatiscenti e valorizza i monumenti, illuminati dai fari di sotto e dalla luna piena di sopra: il mare di fronte fa il resto, si può credere che sia un posto incantevole, almeno fino a domani mattina. Ritorniamo a Praca do Comercio per prendere la metro che ci riporta in albergo. La nuova stazione postmoderna è enorme e deserta, molto più inquietante, nella sua abbagliante luce artificiale, del buio di sopra….affrettiamo il passo lungo i corridoi.
1 commento:
Leggendo il diario del vostro viaggio in Portogallo, mi sono venute in mente un paio di frasi. La prima non so da dove salti fuori, forse sopra una cartolina che qualcuno mi avrà spedito quando "le belle frasi" facevano ancora sognare, comunque diceva: ogni viaggio vale solo se non si riduce a un sterile viaggio intorno a se stessi". Ho pensato che la voglia di raccontare non sia solo la voglia di dire le emozioni vissute, ma soprattutto di far viaggiare, anche solo con la fantasia gli altri. La seconda frase che mi è venuta in mente è di una vecchia canzone che non mi ricordo di chi però so che dice: Certo che può sembrare strana una stazione per chi non parte mai...
ECCO, dico io, partire è sempre u momento di grande entusiasmo, il difficile è il rientro, solo se si è veramente appagati lo si racconta bene. Mario
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