Veramente c’è una bugia “oggettivamente documentabile” sul sito del “residencial”: non si serve la colazione….Comunque ieri sera ci avevano avvertito, quindi cerchiamo un bar nei dintorni. Incappiamo nell’ennesimo barista scorbutico della vacanza: il numero dei casi comincia ad essere statisticamente significativo. Anzi, non è solo un barista….è tutta la famiglia, l’intera gestione impegnata a farci capire che gli stiamo vagamente sulle palle….Eppure li sopra c’è scritto “pequeno almoco”, perché vi stupite se vi chiediamo di fare colazione alle nove di mattina? Bho…Facciamo due spese per il pranzo e poi scendiamo (si scende proprio, con una scala da sopra la scogliera…) alla spiaggia. Spostandosi verso oriente la spiaggia è sempre più affollata, finchè si allarga nella famosa Praya da Rocha: il mare si è ritirato, lasciando una battigia brulicante di varia umanità: nella luce del mattino, con la foschia e i contorni indistinti delle figure, sembra un’immagine cinematografica di qualche film fantascientifico. Guardando i palazzi retrostanti e con il sottofondo dell’idioma dominante, sembra invece Copacabana (per quel che ho visto in TV: mica ci sono mai stato…). Cinquant’anni fa, quando è stata eletta a località turistica, doveva essere effettivamente un posto incantevole…..il tempo non le ha reso giustizia. Ci spingiamo fino al molo che delimita il canale d’ingresso verso il porto interno della città. Ieri ci chiedevamo dove potevano andare a prendere il sole tutti gli abitanti di quella sfilza di palazzi e condomini che fronteggiavano il mare su più file parallele: la risposta è….qui!
Torniamo al nostro ombrellone mentre il mare risale rapidamente e ci costringe a guadare i passaggi fra le rocce dove all’andata si camminava sulla sabbia. Per il pranzo ci sistemiamo comodamente nel patio dell’albergo, appena sopra la spiaggia, per goderci il sole e un po’ di venticello…..Due ore dopo il venticello si è tramutato in un brezza continua che muove le pale di moderni mulini lungo la N268. Abbiamo lasciato l’albergo e ci stiamo dirigendo verso Nord lungo la costa di S.Vicente (o costa vicentina) in direzione Carrapateira. Il tragitto è stato rapido, grazie alle recenti autostrade che attraversano tutto l’Algarve, e in breve arriviamo a destinazione, proseguendo poi verso la spiaggia di Bordeira.
Il posto è …spettacolare. Non scendiamo sulla spiaggia, ma risaliamo lungo la strada (EN1134) fino sopra la scogliera. Qui il vento è ancora più forte e la temperatura non proprio estiva. L’oceano batte la costa con onde continue. La guida parla di surfisti, ma non c’è l’ombra di nessuno che abbia voglia di sfidare il mare, oggi. Ci copriamo con i teli di spugna avvicinandoci alla scogliera; saremo a più di 30 metri sul mare, ma in qualche caso gli spruzzi ci scavalcano in altezza…Alcuni pescatori collocati al limite …del possibile, gettano lenze lunghissime nel nulla; chissà cosa pescheranno in quella specie di bollore freddo la sotto, avrei paura a starci anche se fossi
un pesce….La strada prosegue lungo il promontorio fino alla spiaggia di Amado, ma è poco praticabile per la nostra autovettura “urbana”, quindi ci arriviamo tornando sulla statale. È un altro paradiso di surfisti; qui il mare è più tranquillo, ma comunque assistiamo solo a tentativi malriusciti di qualche equilibrista. C’è il sole, ma l’acqua non è comunque invitante: troppo “oceanica”. Lasciamo Carrapateira con la sensazione di aver visto un luogo unico, per cui è valsa la pena di venire fin qua. Torniamo verso Villa do Bispo e la punta di S.Vicente. Dal paese una breve deviazione ci porta alla Praya do Castelejo, che probabilmente deve il nome ad uno scoglio che emerge li di fronte. Nel complesso non è un granchè, anche molto sporca.
Ritorniamo verso l’interno e proseguiamo per Sagres, fra colline dalla vegetazione bassa ed alberi quasi assenti, sferzati da un vento continuo…e qui mi torna ancora alla mente la canzone di Fossati che è stata il mio primo Portogallo: ne riporto doverosamente un brano…chi la conosce è autorizzato a cantarla….
... e c'è sempre vento in strada ad aspettare, noi che siamo qui a vedere e a camminare e nel nostro viaggiare, e volere ricordare, e toccare e camminare, in questa smania, dimentichiamo posizioni rotte e nomi.... e siamo piccoli, stupiti viaggiatori soli e tutto questo vento intorno invece...È Lusitania.
Il vento raggiunge il suo apice sulla spianata della fortezza di Sagres. Si entra dal portone d’accesso con la segreta speranza che si plachi all’interno il soffio costante, ma la breve galleria dell’ingresso si apre…sul nulla. Al di là dell’edificio principale, solo alcune costruzioni moderne e antiche mischiate in …disordine sparso, su una distesa simile a tante altre piazze d’armi del mondo, con la differenza che i confini di questa sono tracciati dal mare che la circonda su tre lati, molte decine di metri più in basso. Dall’altra parte del golfo il capo di San Vicente ed il suo faro si protendono nell’oceano, controluce nel sole calante. In questo luogo la tradizione colloca la sede della “scuola di Sagres”, una specie di cenacolo di scienziati, filosofi e navigatori alla corte dell’Infante Dom Enrique, principe del Portogallo, ma gli storici mettono in dubbio la cosa, e quel poco che resta pare dare loro ragione. Percorriamo la spianata verso il faro al limite estremo, sbattuti dal vento continuo, fino al limite della scogliera: cartelli avvisano di non avvicinarsi, Eolo scherzoso potrebbe dare una spintarella….quando risaliamo nel tepore della macchina c’è un comune “aaah” di rilassamento….
Ma non abbiamo ancora finito con il vento. Il sole sta tramontando, e decidiamo di guardare lo spettacolo dal Cabo S.Vicente: non siamo gli unici ad avere questa idea (ma leggono tutti la stessa guida?). Intorno al faro si è già raccolta una piccola folla, le loro sagome controsole al tramonto richiamano un qualche rito pagano, o qualcosa di ancora più primordiale, legato all’adorazione del sole. In questo luogo ogni civiltà ha celebrato qualche divinità, dal Saturno latino al S.Vicente Cristiano…(lo so, si potrebbe discutere su “santità” e “divinità”, ma no so se nelle tradizioni sia chiara la differenza…).
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Ci uniamo anche noi al gruppo, inesorabilmente attratti dalla sfera che scende a toccare l’oceano. Macchine fotografiche e cineprese non riescono a catturare il lungo istante sospeso che vive la piccola folla riunita sulla scogliera, finchè tutto si scioglie in un applauso spontaneo quando anche l’ultimo spicchio di sole scompare. Ora il freddo si fa sentire ancora di più, ed il vento non accenna a placarsi: tutti tornano rapidamente alla modernità delle proprie automobili ed in breve un lungo serpentone di fanali accesi si dipana lungo l’unica strada verso Sagres.
Qui cerchiamo un ristorante per la cena, ma al primo tentativo ci offrono solo posti all’aperto: per carità…con questo vento! La guida suggerisce una pizzeria, e anche stavolta non resistiamo al richiamo della patria nella sua universale rappresentazione (sotto forma di mozzarella e pomodoro), salvo scoprire che la gestione è …Inglese. Quattro italiani che mangiano una pizza margherita in Portogallo, in un locale gestito da Inglesi….se non è globalizzazione questa! Comunque, a parte gli aspetti socio-culturali, la “cosa” è discreta, pur non meritando la definizione di pizza…
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Nel buio ripercorriamo a ritroso la A22, (denominata pomposamente “via Infante de Sagres” a ricordare i fasti di una corte di cui non rimane traccia e forse mai esistita) , per trascorrere in albergo la nostra ultima notte in Algarve: domani si parte verso nord, per l’Alentejo e Lisbona.
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