Pau, eleganza francese e cacche di cane….Non è la solita prevenzione italiana verso i francesi, che per altro non vedo molto diversi da noi (malgrado loro non ne siano felici…), è solo che sul selciato lindo ed elegante del centro la cacca si vede di più, e questa mattina passeggiando ne abbiamo dovute evitare un bel po’ (altri, meno fortunati o più distratti, staranno imprecando contro la specie canina e i relativi proprietari). Se di un luogo visitato ci si ricordano gli escrementi sul marciapiede….non è un bel segno, ed effettivamente la cosa non fa onore a questa cittadina del sud ovest francese che invece meriterebbe più tempo di quello che le possiamo dedicare. La visita non era nemmeno in programma, ci siamo alzati presto io e Marina, attratti dalla prospettiva di verificare se il croissant è davvero prerogativa nazionale indistintamente salvaguardata: anche in quest’angolo di Francia la regola è rispettata. È un mistero quello dei croissant francesi; li trovi dalla Normandia alla Provenza, e sempre ottimi, ma appena passi il confine di Ventimiglia spariscono dalla circolazione, raro esempio di nazionalismo gastronomico, sostituiti da stinte imitazioni nostrane, assolutamente non competitive…
Per una valutazione più approfondita della qualità ne infiliamo un paio in tasca e lasciamo l’hotel, passeggiando verso il centro. Dobbiamo camminare una ventina di minuti prima di renderci conto di quanto fossimo distanti….il campanile della chiesa di S.Martin ancora lontano e intorno l’elegante periferia, uffici moderni e l’Università, con ampi parchi ben tenuti. Da l’impressione di una città tranquilla e non molto grande, quel che si dice “una città a misura d’uomo….”
Più avanti entriamo nel centro (con relative cacche…) e veniamo raggiunti da Tina e Antonio, automuniti, disposti ad una rapida visita prima di partire per Lourdes. Non è facile parcheggiare nel giorno di mercato e vicino al mercato generale stabile, ma alla fine troviamo un posto e ci incamminiamo verso il Boulevard des Pyrénées, come suggerito dalla piccola guida prelevata in albergo. La città, in questa zona, conserva ancora l’eleganza (anche se ammodernata) che le deriva dai fasti fra ‘800 e ‘900 e fino al primo dopoguerra, quando divenne meta dei nobili di sangue e di pecunia di mezzo mondo, pare per il suo clima e le qualità terapeutiche delle sue acque….I ricchi hanno sempre avuto questa strana tendenza ad aggregarsi, ….come mosche sulla merda (per l’appunto…), facendo la fortuna delle varie località che di volta in volta dichiarano essere abbastanza “chic” da meritarsi la loro presenza. Pau vanta con orgoglio questi trascorsi, riportando la frase del poeta francese Lamartine: “Pau est la plus belle vue de terre comme Naples est la plus belle vue de mer” …..mi sa che ambedue (Pau e Napoli) hanno conosciuto tempi migliori….
La più bella “vista di terra” è quella che si dovrebbe godere dal boulevard, una balconata affacciata sui giardini che costeggiano la Gave, poco più in basso, e sullo sfondo i Pirenei….ma non mi pare così impressionante…Una teleferica (altro orgoglio cittadino), collega la stazione sottostante con il boulevard, che percorriamo un po’ in direzione del Castello. Questo è il più importante monumento cittadino, famoso per aver ospitato, con Pau capitale della Navarra, il re Enrico e la sua sposa Margherita di Francia, la regina Margot, nota più che altro per le sue sregolatezze “sentimentali”. In realtà pare che la corte abbia vissuto poco da queste parti, ma tant’è: anche da noi ogni paesino vanta una notte di Garibaldi trascorsa in qualche suo letto, e sarebbe interessante fare i conti per capire quante notti abbia vissuto Garibaldi. Probabilmente meno delle lapidi che gli hanno dedicato a memoria dei suoi pernottamenti…
Purtroppo il tempo stringe, non c’è tempo per il castello, torniamo sui nostri passi attraversando il mercato coperto e Tina si dedica un po’ al commercio locale; i souvenir gastronomici sono sempre i preferiti, ma non ricordo se alla fine abbia concluso l’affare….
Un breve salto “A l’Hotel” e poi via, direzione Lourdes, lungo la D817. La campagna intorno è veramente bella, punteggiata di boschi, con le ultime pendici dei Pirenei sulla destra che ci accompagnano: forse non è “la più bella vista di terra” che ci sia, ma sembra comunque un posto gradevole per viverci.
La bellezza dei luoghi si concretizza nella vista che ci accoglie all’arrivo in paese. Dalla strada alta sopra le case lo sguardo spazia verso il castello e il fiume che attraversa la cittadina: non capiamo ancora dove sia il santuario, ma la direzione verso cui si incammina la maggioranza delle persone è abbastanza chiara. In terra poi è tracciata una linea azzurra continua periodicamente segnalata come il “cammino di Bernadette”, un percorso di qualche chilometro proveniente dal paesino di Bartrès, rimesso in voga in questo anno giubilare, 150 anni dopo le apparizioni. Niente a che vedere con il Cammino di Santiago in quanto a lunghezza, ma qui molti dei pellegrini faticano a reggersi sulle gambe….
Il mio innato scetticismo si stempera un po’ grazie alla serenità che si respira ed alla bellezza dell’area che circonda il santuario e la grotta delle apparizioni. C’è anche un clima di efficiente organizzazione, derivante da più di un secolo di esperienza nella gestione dei visitatori: pare che più di 700 milioni di persone siano passate da questo luogo dagli inizi della sua notorietà.
"Que soy era Immaculada Councepciou" . Con questa frase in dialetto guascone, riportata da una ragazzina di 14 anni, da molti ritenuta un po’ suonata, è cominciata la notorietà di questo luogo. Solo quattro anni prima di quel 1858, il papa Pio IX aveva proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione, ed il fatto che Bernadette ne riferisse fu ritenuto miracoloso da alcuni (per la sua ignoranza…), sconcertante e strumentale da altri. Ma il dibattito teologico, già acceso all’epoca, fino ad essere considerato una concausa nel pronunciamento dell’infallibilità papale avvenuto 12 anni dopo (sempre per bocca dello stesso Pio IX), lasciò rapidamente spazio alla vera essenza di Lourdes: il rapporto fra malattia, fede e miracolo. E se dopo 150 anni di discussione ancora non se ne è venuti a capo…..dovrei capirci qualcosa io in mezza giornata? Meglio lasciare che ognuno rifletta pacatamente con gli strumenti propri e trovi qualche risposta, se ne ha necessità. Io, per conto mio, a proposito di miracoli e madonne lacrimanti, ricordo sempre quella battuta di Troisi in un suo film, quando invitato ad un pellegrinaggio all’ennesima madonna piangente declinava l’invito scusandosi : “ …è che sono un po’ triste in questo periodo, se rideva venivo pure io…..e pure per voi, se rideva era meglio, mica si poteva dire che era il legno a trasudare….(vedere questo link per rinfrescarsi il ricordo :
http://www.youtube.com/watch?v=EJLEbvkXMdA )
Per molti si tratta della classica irrisione atea alla credulità popolare, io ci vedo anche ( e forse di più) l’eterno bisogno di certezze che attanaglia l’uomo davanti al divino, che spinge San Tommaso a voler mettere la mano nel costato: il bisogno di una “prova sicura e inconfutabile” mediata dai nostri sensi e dalla nostra ragione. Come se questo fosse garanzia sicura di conversione….Gli stessi miracoli di Gesù, sono forse serviti a salvarlo dalla croce? E quanti, fra quelli che lo crocifiggevano, trepidavano in attesa o addirittura chiedevano “il miracolo definitivo”, il “salva te stesso” che avrebbe risolto ogni dubbio…e schiavizzato tutti. Ringraziamo Dio ( se ci crediamo…) per non aver scelto quella strada: conoscendoci, sapeva che non avremmo mai cessato di chiedere un miracolo nuovo, o di cercare un altro dio in grado di farcene di più grandi….
Per questo, mentre passeggio fra le centinaia di lapidi ex-voto che tappezzano le pareti della basilica superiore, la prima fondata sopra la grotta, e leggo le motivazioni per le quali sono state poste, motivazioni spesso taciute, sempre personalissime, avverto come la dimensione del miracolo possa esistere solo nell’individualità, nel segreto della personale esperienza, e lì, forse, trovare un senso e una ragione.
Fatico un po’ a scorgere questa individualità nei gruppi quasi segregati fra le ringhiere e i cancelli che delimitano le aree di sosta davanti alle “piscine”. Centinaia di persone, alcuni evidentemente malati o infermi, separati in maschi e femmine, all’aperto, seduti su panche protette da tettoie, in attesa del loro turno, intonano canti religiosi o recitano rosari. Passo con un certo disagio lungo la cancellata, incrociando qualche sguardo, io così evidentemente scettico, così autosufficiente nella mia temporanea salute…
Infondo non è molto diverso da quello che ci capita lungo le corsie d’ospedale, quando non siamo noi ad essere distesi nei letti; la stessa sensazione di disagio nell’incrociare lo sguardo malato degli altri, quasi la paura che ci possano sottrarre un po’ della nostra salute….
Chi adesso è seduto qui ha semplicemente scelto un medico diverso? Stanco o deluso dai tanti che ha già provato, per se o per i suoi cari, si è detto “proviamo anche questa”? O magari ha deciso di “consacrare” anche la sua malattia nel cammino di conversione della propria esistenza, e in questo, forse, già sta vivendo il suo miracolo….?
Riflessioni senza risposta, mentre acceleriamo leggermente il passo, forse per pudore, certo più per disagio, stemperato alla fine in quel vago senso di liberazione che generalmente proviamo all’uscita da un ospedale….
Il “cuore” di Lourdes è la grotta delle apparizioni. Me l’aspettavo molto più grande….e molto più affollata. Nel mio immaginario Lourdes era una moltitudine dolente in costante fluire dentro una grande grotta illuminata dalla luce di migliaia di candele votive, con una vasca d’acqua davanti alla Madonna nella quale ci si immergeva malati e qualcuno talvolta se ne usciva guarito, in tutto o in parte…Ricordo mio padre che raccontava quello che sua madre gli aveva riferito circa la sua esperienza, della quale lei ricordava principalmente l’imbarazzo per la semi-nudità (“i ma lasat apena la camisa”, diceva in dialetto, “mi hanno lasciato solo la camicia...”) ed il gran freddo, che per lei malata di tisi e “debole di petto” era il nemico principale, cosa che la induceva a dire, con una certa dose di umorismo ed autoironia, non so quanto volontari per lei fervente cattolica, : “l’è stat en miracol se so mia morta….( è stato un miracolo se non sono morta…)”
Quando arriviamo davanti alla grotta la fila di pellegrini, sul percorso transennato che costeggia la roccia fino all’ingresso della piccola cavità, è lunga solo qualche decina di metri, ma non ci accodiamo, preferendo ritirarci dietro le panche poste davanti alla statua della madonna. I fedeli passano sfiorando con la mano la roccia che trasuda acqua e sostano un attimo in preghiera davanti l’effigie di Maria; settecento milioni di mani hanno lisciato per più di un secolo quella roccia e per fortuna le preghiere sono di natura eterea e salgono al cielo, perchè se non fossero immateriali avrebbero già sprofondato da tempo questo luogo sotto il loro peso. Noi umani abbiamo la tendenza a figurare materialmente i nostri sentimenti: “..oggi sono giù…” oppure “..ho un peso sul cuore..” o ancora “ ..mi sento leggero come una piuma…”. Se davvero la felicità ed il dolore dell’umanità avessero un peso o una leggerezza diversi…. potremmo sperare di cambiare l’orbita terrestre: coltivare la felicità collettiva, alleggerire la terra dai nostri dolori e partire……ma partire per dove? A spasso nell’infinito in cerca del Creatore ? Più probabilmente l’avremmo via via appesantita con le nostre sofferenze e saremmo da tempo precipitati in orbite concentriche sul sole, …..il fuoco eterno….giustappunto….
Mi risveglia da questa visione mistica il suono di un cellulare…..quello di Antonio, subito ripreso tacitamente dallo sguardo di chi sosta qui davanti in preghiera. Ci allontaniamo rapidamente per non disturbare più di quanto la nostra perplessità già non abbia fatto.
Se qualcuno volesse visitare virtualmente il luogo, la tecnologia lo consente:
http://www.lourdes-radio.com/player_live/player_live_fr/player-token_fr.php
Entriamo nella Basilica del Rosario, quella inferiore, e rimango colpito dal volto di Maria che campeggia nell’abside, è tale e quale a Kate Blanchett….
Paragone dissacrante? E perché mai …se si sceglie l’iconografia del divino si deve correre il rischio della sua eccessiva contestualizzazione; se vogliamo discutere di rappresentazioni del sacro…trovo più dissacrante che una giovinetta ebrea di 2000 anni fa sia raffigurata con le sembianze di un’eterea fanciulla dai tratti ariani. L’insieme è comunque bello, con i variopinti mosaici a rivestire molte delle pareti. Mezzogiorno è passato da un pezzo, ci incamminiamo in cerca di un posto per mangiare i nostri viveri “ da asporto”, costeggiando la riva del fiume che attraversa l’area del santuario, la stessa acqua lasciata questa mattina a Pau, anche se, come si dice, non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume…soprattutto quando il fiume scorre in senso opposto al nostro spostamento…Non troviamo indicazioni per aree da picnic, quindi ci fermiamo in disparte su una panca, forse infrangendo qualche regola. Un orientale passa verso l’uscita trascinando una grossa tanica d’acqua prelevata alle vicine fontane, ci chiediamo la finalità della cosa discutendo se si tratti di commercio, terapia o grande fede, senza trovare una risposta….forse tutte e tre le cose insieme: per quanto possano sembrare inconciliabili, la chiesa ha spesso mostrato la tendenza a volerle tenere unite, specialmente in luoghi come questo….
Scattiamo qualche foto al pittoresco quadretto costituito dal fiume con il santuario sullo sfondo e attraversiamo il ponte per tornare verso la città passando dall’altra riva. Lungo la sponda è allestito il Cammino dell’acqua, una serie di fontanelle con richiami a testi biblici improntati al tema dell’acqua e della sua funzione “salvifica”: apprezzo lo sforzo, che mi sembra di cogliere nei testi, di voler sottolineare l’importanza della conversione degli spiriti, piuttosto che il ruolo terapeutico del prezioso liquido che sgorga dai rubinetti di questo luogo…con buona pace delle taniche vuote e piene che viaggiano avanti e indietro lungo tutti i viali. Riattraversiamo il fiume e ci dirigiamo verso l’uscita del Recinto Sacro, il grande spazio cintato che contiene la grotta e tutte le basiliche, non ultima quella di San Pio X, un’enorme spazio sotterraneo praticamente invisibile dall’esterno perché ricoperto da un manto erboso: scelta opportuna a salvaguardia della bellezza del luogo, diversamente da quanto visto a Fatima per la nuova basilica. Entriamo un attimo, ma l’interno appare freddo nella sua modernità di cemento armato. In tutto il perimetro del santuario non abbiamo trovato nessun punto vendita dei classici “gadget”, santini e affini, cosa che ci lascia favorevolmente impressionati. La cosa si spiega non appena superiamo il cancello d’entrata: Lourdes è un unico immenso supermarket di oggetti sacri (e profani). L’opportuna scelta di “lasciare i mercanti fuori dal tempio” ha permesso il libero sfogo della creatività commerciale in tutti gli spazi circostanti. Sulla strada principale fa bella mostra il “palais du rosaire”, un enorme bazar con tutto ciò che può servire da souvenir ai pellegrini, e anche qualcosa di improponibile, come le candele da 20 kg e 2 metri d’altezza…entriamo in un bar lì di fronte dalla promettente insegna “espresso italiano”, gestito da tre figuri dall’aria un po’ losca: discutiamo l’ipotesi che si tratti di ex galeotti miracolati e convertitisi a Maria Immacolata….nel caso, comunque, i prezzi sono ancora da taglieggiatori..
Dopo la breve pausa ci ributtiamo nella folla che fluisce per tutte le vie della cittadina, dirigendoci verso il castello, dall’alto del quale si deve godere di una vista ragguardevole. Lungo il percorso incrociamo numerose comitive dirette ai luoghi “di Bernadette”, la casa natale, la chiesa parrocchiale, il cachot…..in quest’anno giubilare la visita è d’obbligo, sul selciato è tracciato un percorso che i gruppi seguono, recitando il rosario alcuni, schiamazzando la maggior parte. La nostra curiosità è attratta dal cachot, giusto perché non capiamo cosa sia. Lo chiediamo ad un volontario che organizza il traffico della visita fuori dalla porta, il quale ci spiega (un po’ stupito che non lo sappiamo…) che si tratta dell’abitazione (si fa per dire) dove viveva Bernadette con la famiglia all’epoca delle apparizioni. Cachot significa “cella”, perché era in pratica l’ex carcere del paese adattato a ricovero temporaneo per i “meno abbienti”: un monolocale di 16 metri quadri, su cui l’iconografia di Lourdes ricama parecchio, sottolineando la misera condizione famigliare dei Soubirous ed il fatto che Maria abbia privilegiato come sempre “uno fra gli ultimi” per manifestarsi: allora, come oggi, avrà certo avuto l’imbarazzo della scelta, se il criterio discriminante era ed è la povertà…..
La salita al castello è a pagamento, quindi non saliamo. Proviamo ad aggirare la collina, ma tutti gli accessi ai punti panoramici sono accuratamente chiusi o privatizzati da locali ed alberghi, quindi abbandoniamo l’assedio e ripieghiamo verso l’automobile, passando lungo il fiume davanti all’ingresso del santuario. Il pomeriggio è inoltrato ed è ora di tornare; sullo sfondo del prato la chiesa neogotica sovrasta la grotta, come la moltitudine dei pellegrini di oggi sovrasta il solitario dialogo fra la ragazzina e “quella là”, che così Bernadette definiva all’inizio la signora dell’apparizione….Da allora si sono moltiplicate le occasioni in cui il soprannaturale ha fatto irruzione nella storia in maniera analoga, sempre con i dubbi più o meno espliciti della chiesa ufficiale e l’adesione meno dubbiosa dei numerosi fedeli. “Vox populi, vox Dei”, dicevano gli antichi padri della chiesa….io, solitario e un po’ misantropo, tendenzialmente rifuggo la voce del popolo, che se non è borbottio confuso, sovente diventa perentorio urlo collettivo, raramente articolata riflessione, essendo quest’ultima, piuttosto, prerogativa degli individui in reciproco dialogo. Ed è a quel dialogo che preferisco tornare con il pensiero, transitando in auto davanti alla grotta di là dal fiume, a quel dialogo così uguale ai tanti segreti colloqui fra l’umano ed il divino che l’hanno preceduto e seguito, a quel dialogo così diverso da ogni altro, nella singolarità preziosa che ciascuno, spero, riveste agli occhi di Dio.
Per una valutazione più approfondita della qualità ne infiliamo un paio in tasca e lasciamo l’hotel, passeggiando verso il centro. Dobbiamo camminare una ventina di minuti prima di renderci conto di quanto fossimo distanti….il campanile della chiesa di S.Martin ancora lontano e intorno l’elegante periferia, uffici moderni e l’Università, con ampi parchi ben tenuti. Da l’impressione di una città tranquilla e non molto grande, quel che si dice “una città a misura d’uomo….”
Più avanti entriamo nel centro (con relative cacche…) e veniamo raggiunti da Tina e Antonio, automuniti, disposti ad una rapida visita prima di partire per Lourdes. Non è facile parcheggiare nel giorno di mercato e vicino al mercato generale stabile, ma alla fine troviamo un posto e ci incamminiamo verso il Boulevard des Pyrénées, come suggerito dalla piccola guida prelevata in albergo. La città, in questa zona, conserva ancora l’eleganza (anche se ammodernata) che le deriva dai fasti fra ‘800 e ‘900 e fino al primo dopoguerra, quando divenne meta dei nobili di sangue e di pecunia di mezzo mondo, pare per il suo clima e le qualità terapeutiche delle sue acque….I ricchi hanno sempre avuto questa strana tendenza ad aggregarsi, ….come mosche sulla merda (per l’appunto…), facendo la fortuna delle varie località che di volta in volta dichiarano essere abbastanza “chic” da meritarsi la loro presenza. Pau vanta con orgoglio questi trascorsi, riportando la frase del poeta francese Lamartine: “Pau est la plus belle vue de terre comme Naples est la plus belle vue de mer” …..mi sa che ambedue (Pau e Napoli) hanno conosciuto tempi migliori….
La più bella “vista di terra” è quella che si dovrebbe godere dal boulevard, una balconata affacciata sui giardini che costeggiano la Gave, poco più in basso, e sullo sfondo i Pirenei….ma non mi pare così impressionante…Una teleferica (altro orgoglio cittadino), collega la stazione sottostante con il boulevard, che percorriamo un po’ in direzione del Castello. Questo è il più importante monumento cittadino, famoso per aver ospitato, con Pau capitale della Navarra, il re Enrico e la sua sposa Margherita di Francia, la regina Margot, nota più che altro per le sue sregolatezze “sentimentali”. In realtà pare che la corte abbia vissuto poco da queste parti, ma tant’è: anche da noi ogni paesino vanta una notte di Garibaldi trascorsa in qualche suo letto, e sarebbe interessante fare i conti per capire quante notti abbia vissuto Garibaldi. Probabilmente meno delle lapidi che gli hanno dedicato a memoria dei suoi pernottamenti…
Purtroppo il tempo stringe, non c’è tempo per il castello, torniamo sui nostri passi attraversando il mercato coperto e Tina si dedica un po’ al commercio locale; i souvenir gastronomici sono sempre i preferiti, ma non ricordo se alla fine abbia concluso l’affare….
Un breve salto “A l’Hotel” e poi via, direzione Lourdes, lungo la D817. La campagna intorno è veramente bella, punteggiata di boschi, con le ultime pendici dei Pirenei sulla destra che ci accompagnano: forse non è “la più bella vista di terra” che ci sia, ma sembra comunque un posto gradevole per viverci.
La bellezza dei luoghi si concretizza nella vista che ci accoglie all’arrivo in paese. Dalla strada alta sopra le case lo sguardo spazia verso il castello e il fiume che attraversa la cittadina: non capiamo ancora dove sia il santuario, ma la direzione verso cui si incammina la maggioranza delle persone è abbastanza chiara. In terra poi è tracciata una linea azzurra continua periodicamente segnalata come il “cammino di Bernadette”, un percorso di qualche chilometro proveniente dal paesino di Bartrès, rimesso in voga in questo anno giubilare, 150 anni dopo le apparizioni. Niente a che vedere con il Cammino di Santiago in quanto a lunghezza, ma qui molti dei pellegrini faticano a reggersi sulle gambe….
Il mio innato scetticismo si stempera un po’ grazie alla serenità che si respira ed alla bellezza dell’area che circonda il santuario e la grotta delle apparizioni. C’è anche un clima di efficiente organizzazione, derivante da più di un secolo di esperienza nella gestione dei visitatori: pare che più di 700 milioni di persone siano passate da questo luogo dagli inizi della sua notorietà.
http://www.youtube.com/watch?v=EJLEbvkXMdA )
Per molti si tratta della classica irrisione atea alla credulità popolare, io ci vedo anche ( e forse di più) l’eterno bisogno di certezze che attanaglia l’uomo davanti al divino, che spinge San Tommaso a voler mettere la mano nel costato: il bisogno di una “prova sicura e inconfutabile” mediata dai nostri sensi e dalla nostra ragione. Come se questo fosse garanzia sicura di conversione….Gli stessi miracoli di Gesù, sono forse serviti a salvarlo dalla croce? E quanti, fra quelli che lo crocifiggevano, trepidavano in attesa o addirittura chiedevano “il miracolo definitivo”, il “salva te stesso” che avrebbe risolto ogni dubbio…e schiavizzato tutti. Ringraziamo Dio ( se ci crediamo…) per non aver scelto quella strada: conoscendoci, sapeva che non avremmo mai cessato di chiedere un miracolo nuovo, o di cercare un altro dio in grado di farcene di più grandi….
Per questo, mentre passeggio fra le centinaia di lapidi ex-voto che tappezzano le pareti della basilica superiore, la prima fondata sopra la grotta, e leggo le motivazioni per le quali sono state poste, motivazioni spesso taciute, sempre personalissime, avverto come la dimensione del miracolo possa esistere solo nell’individualità, nel segreto della personale esperienza, e lì, forse, trovare un senso e una ragione.
Fatico un po’ a scorgere questa individualità nei gruppi quasi segregati fra le ringhiere e i cancelli che delimitano le aree di sosta davanti alle “piscine”. Centinaia di persone, alcuni evidentemente malati o infermi, separati in maschi e femmine, all’aperto, seduti su panche protette da tettoie, in attesa del loro turno, intonano canti religiosi o recitano rosari. Passo con un certo disagio lungo la cancellata, incrociando qualche sguardo, io così evidentemente scettico, così autosufficiente nella mia temporanea salute…
Infondo non è molto diverso da quello che ci capita lungo le corsie d’ospedale, quando non siamo noi ad essere distesi nei letti; la stessa sensazione di disagio nell’incrociare lo sguardo malato degli altri, quasi la paura che ci possano sottrarre un po’ della nostra salute….
Chi adesso è seduto qui ha semplicemente scelto un medico diverso? Stanco o deluso dai tanti che ha già provato, per se o per i suoi cari, si è detto “proviamo anche questa”? O magari ha deciso di “consacrare” anche la sua malattia nel cammino di conversione della propria esistenza, e in questo, forse, già sta vivendo il suo miracolo….?
Riflessioni senza risposta, mentre acceleriamo leggermente il passo, forse per pudore, certo più per disagio, stemperato alla fine in quel vago senso di liberazione che generalmente proviamo all’uscita da un ospedale….
Il “cuore” di Lourdes è la grotta delle apparizioni. Me l’aspettavo molto più grande….e molto più affollata. Nel mio immaginario Lourdes era una moltitudine dolente in costante fluire dentro una grande grotta illuminata dalla luce di migliaia di candele votive, con una vasca d’acqua davanti alla Madonna nella quale ci si immergeva malati e qualcuno talvolta se ne usciva guarito, in tutto o in parte…Ricordo mio padre che raccontava quello che sua madre gli aveva riferito circa la sua esperienza, della quale lei ricordava principalmente l’imbarazzo per la semi-nudità (“i ma lasat apena la camisa”, diceva in dialetto, “mi hanno lasciato solo la camicia...”) ed il gran freddo, che per lei malata di tisi e “debole di petto” era il nemico principale, cosa che la induceva a dire, con una certa dose di umorismo ed autoironia, non so quanto volontari per lei fervente cattolica, : “l’è stat en miracol se so mia morta….( è stato un miracolo se non sono morta…)”
Quando arriviamo davanti alla grotta la fila di pellegrini, sul percorso transennato che costeggia la roccia fino all’ingresso della piccola cavità, è lunga solo qualche decina di metri, ma non ci accodiamo, preferendo ritirarci dietro le panche poste davanti alla statua della madonna. I fedeli passano sfiorando con la mano la roccia che trasuda acqua e sostano un attimo in preghiera davanti l’effigie di Maria; settecento milioni di mani hanno lisciato per più di un secolo quella roccia e per fortuna le preghiere sono di natura eterea e salgono al cielo, perchè se non fossero immateriali avrebbero già sprofondato da tempo questo luogo sotto il loro peso. Noi umani abbiamo la tendenza a figurare materialmente i nostri sentimenti: “..oggi sono giù…” oppure “..ho un peso sul cuore..” o ancora “ ..mi sento leggero come una piuma…”. Se davvero la felicità ed il dolore dell’umanità avessero un peso o una leggerezza diversi…. potremmo sperare di cambiare l’orbita terrestre: coltivare la felicità collettiva, alleggerire la terra dai nostri dolori e partire……ma partire per dove? A spasso nell’infinito in cerca del Creatore ? Più probabilmente l’avremmo via via appesantita con le nostre sofferenze e saremmo da tempo precipitati in orbite concentriche sul sole, …..il fuoco eterno….giustappunto….
Mi risveglia da questa visione mistica il suono di un cellulare…..quello di Antonio, subito ripreso tacitamente dallo sguardo di chi sosta qui davanti in preghiera. Ci allontaniamo rapidamente per non disturbare più di quanto la nostra perplessità già non abbia fatto.
Se qualcuno volesse visitare virtualmente il luogo, la tecnologia lo consente:
http://www.lourdes-radio.com/player_live/player_live_fr/player-token_fr.php
Entriamo nella Basilica del Rosario, quella inferiore, e rimango colpito dal volto di Maria che campeggia nell’abside, è tale e quale a Kate Blanchett….
Paragone dissacrante? E perché mai …se si sceglie l’iconografia del divino si deve correre il rischio della sua eccessiva contestualizzazione; se vogliamo discutere di rappresentazioni del sacro…trovo più dissacrante che una giovinetta ebrea di 2000 anni fa sia raffigurata con le sembianze di un’eterea fanciulla dai tratti ariani. L’insieme è comunque bello, con i variopinti mosaici a rivestire molte delle pareti. Mezzogiorno è passato da un pezzo, ci incamminiamo in cerca di un posto per mangiare i nostri viveri “ da asporto”, costeggiando la riva del fiume che attraversa l’area del santuario, la stessa acqua lasciata questa mattina a Pau, anche se, come si dice, non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume…soprattutto quando il fiume scorre in senso opposto al nostro spostamento…Non troviamo indicazioni per aree da picnic, quindi ci fermiamo in disparte su una panca, forse infrangendo qualche regola. Un orientale passa verso l’uscita trascinando una grossa tanica d’acqua prelevata alle vicine fontane, ci chiediamo la finalità della cosa discutendo se si tratti di commercio, terapia o grande fede, senza trovare una risposta….forse tutte e tre le cose insieme: per quanto possano sembrare inconciliabili, la chiesa ha spesso mostrato la tendenza a volerle tenere unite, specialmente in luoghi come questo….
Scattiamo qualche foto al pittoresco quadretto costituito dal fiume con il santuario sullo sfondo e attraversiamo il ponte per tornare verso la città passando dall’altra riva. Lungo la sponda è allestito il Cammino dell’acqua, una serie di fontanelle con richiami a testi biblici improntati al tema dell’acqua e della sua funzione “salvifica”: apprezzo lo sforzo, che mi sembra di cogliere nei testi, di voler sottolineare l’importanza della conversione degli spiriti, piuttosto che il ruolo terapeutico del prezioso liquido che sgorga dai rubinetti di questo luogo…con buona pace delle taniche vuote e piene che viaggiano avanti e indietro lungo tutti i viali. Riattraversiamo il fiume e ci dirigiamo verso l’uscita del Recinto Sacro, il grande spazio cintato che contiene la grotta e tutte le basiliche, non ultima quella di San Pio X, un’enorme spazio sotterraneo praticamente invisibile dall’esterno perché ricoperto da un manto erboso: scelta opportuna a salvaguardia della bellezza del luogo, diversamente da quanto visto a Fatima per la nuova basilica. Entriamo un attimo, ma l’interno appare freddo nella sua modernità di cemento armato. In tutto il perimetro del santuario non abbiamo trovato nessun punto vendita dei classici “gadget”, santini e affini, cosa che ci lascia favorevolmente impressionati. La cosa si spiega non appena superiamo il cancello d’entrata: Lourdes è un unico immenso supermarket di oggetti sacri (e profani). L’opportuna scelta di “lasciare i mercanti fuori dal tempio” ha permesso il libero sfogo della creatività commerciale in tutti gli spazi circostanti. Sulla strada principale fa bella mostra il “palais du rosaire”, un enorme bazar con tutto ciò che può servire da souvenir ai pellegrini, e anche qualcosa di improponibile, come le candele da 20 kg e 2 metri d’altezza…entriamo in un bar lì di fronte dalla promettente insegna “espresso italiano”, gestito da tre figuri dall’aria un po’ losca: discutiamo l’ipotesi che si tratti di ex galeotti miracolati e convertitisi a Maria Immacolata….nel caso, comunque, i prezzi sono ancora da taglieggiatori..
Dopo la breve pausa ci ributtiamo nella folla che fluisce per tutte le vie della cittadina, dirigendoci verso il castello, dall’alto del quale si deve godere di una vista ragguardevole. Lungo il percorso incrociamo numerose comitive dirette ai luoghi “di Bernadette”, la casa natale, la chiesa parrocchiale, il cachot…..in quest’anno giubilare la visita è d’obbligo, sul selciato è tracciato un percorso che i gruppi seguono, recitando il rosario alcuni, schiamazzando la maggior parte. La nostra curiosità è attratta dal cachot, giusto perché non capiamo cosa sia. Lo chiediamo ad un volontario che organizza il traffico della visita fuori dalla porta, il quale ci spiega (un po’ stupito che non lo sappiamo…) che si tratta dell’abitazione (si fa per dire) dove viveva Bernadette con la famiglia all’epoca delle apparizioni. Cachot significa “cella”, perché era in pratica l’ex carcere del paese adattato a ricovero temporaneo per i “meno abbienti”: un monolocale di 16 metri quadri, su cui l’iconografia di Lourdes ricama parecchio, sottolineando la misera condizione famigliare dei Soubirous ed il fatto che Maria abbia privilegiato come sempre “uno fra gli ultimi” per manifestarsi: allora, come oggi, avrà certo avuto l’imbarazzo della scelta, se il criterio discriminante era ed è la povertà…..
La salita al castello è a pagamento, quindi non saliamo. Proviamo ad aggirare la collina, ma tutti gli accessi ai punti panoramici sono accuratamente chiusi o privatizzati da locali ed alberghi, quindi abbandoniamo l’assedio e ripieghiamo verso l’automobile, passando lungo il fiume davanti all’ingresso del santuario. Il pomeriggio è inoltrato ed è ora di tornare; sullo sfondo del prato la chiesa neogotica sovrasta la grotta, come la moltitudine dei pellegrini di oggi sovrasta il solitario dialogo fra la ragazzina e “quella là”, che così Bernadette definiva all’inizio la signora dell’apparizione….Da allora si sono moltiplicate le occasioni in cui il soprannaturale ha fatto irruzione nella storia in maniera analoga, sempre con i dubbi più o meno espliciti della chiesa ufficiale e l’adesione meno dubbiosa dei numerosi fedeli. “Vox populi, vox Dei”, dicevano gli antichi padri della chiesa….io, solitario e un po’ misantropo, tendenzialmente rifuggo la voce del popolo, che se non è borbottio confuso, sovente diventa perentorio urlo collettivo, raramente articolata riflessione, essendo quest’ultima, piuttosto, prerogativa degli individui in reciproco dialogo. Ed è a quel dialogo che preferisco tornare con il pensiero, transitando in auto davanti alla grotta di là dal fiume, a quel dialogo così uguale ai tanti segreti colloqui fra l’umano ed il divino che l’hanno preceduto e seguito, a quel dialogo così diverso da ogni altro, nella singolarità preziosa che ciascuno, spero, riveste agli occhi di Dio.
Per tornare a Pau scegliamo la D937, tanto per cambiare strada, ed è una scelta azzeccata. Il percorso si snoda fra le colline, costeggiando il corso del Gave.
Ad un certo punto, dopo una svolta, ci appare un grande edificio preceduto da un ponte ad una sola arcata: ha l’aria di meritare una visita e decidiamo di accostare. Scopriremo poi che si tratta del Santuario di Betharram, un luogo sacro alla cristianità ben prima di Lourdes, e anch’esso dedicato alla Madonna. Quindi le apparizioni di Maria da queste parti erano ben precedenti quelle della cittadina che abbiamo appena lasciato, e si racconta che la stessa Bernadette fosse solita frequentare questo luogo e confidarsi con il suo rettore. Questo paese era già tappa del cammino verso Santiago nel XIV secolo, ed in seguito il santuario che vi sorse divenne uno fra i primi di Francia in quanto a visitatori. Poi l’apparizione di Lourdes ne ha decretato la progressiva decadenza, ed ora sul piazzale davanti alla chiesa ci siamo solo noi, a guardare il portone chiuso. Per la verità dal ponte arriva un altro gruppo di turisti francesi che nota la nostra perplessità davanti all’ingresso sbarrato e ci avvisa che l’orario è passato. Marina intavola un dialogo con la signora del gruppo, che inizia a tessere le lodi del luogo, fino a dichiarare che “è più bella di Notre-Dame di Parigi”, indicandoci poi l’inizio del Calvario, una stradina di circa un chilometro che risale il fianco della montagna, costellata da cappelle imponenti (quasi piccole chiesette) in stile romanico, fino alla sommità, dalla quale, dice, si gode una vista bellissima…..
Non è che abbiamo molto tempo, però l’idea di un ultimo sguardo ai Pirenei che avremmo dovuto esplorare ci fa decidere per la salita. Mentre imbocchiamo la stretta strada che si inoltra nel bosco un piccolo cartello aggiunge interesse all’escursione, preannunciando la vendita di “fromages de chevre”: io e Tina programmiamo all’unisono un acquisto da portarci in Italia, mentre Marina inizia subito a chiedersi preoccupata dove cavolo potremo trasportarli per le prossime 24 e più ore, considerato il profumo che notoriamente emanano. In breve arriviamo alla “croix des Hauteurs”, un crocifisso piantato sull’altopiano; le altezze alle quali si riferisce il nome sono probabilmente le cime lontane che si profilano nella foschia, in controluce al sole che inizia a calare, in un susseguirsi di quinte sovrapposte, fino a confondersi con il cielo. Dietro il crocifisso, piantata nella corteccia di un albero, riappare la conchiglia di Santiago, ad indicare la strada ai viandanti: questo cammino continua a chiamarci, forse dovremmo rispondere…certo non partendo da qui! Dev’essere un qualche ramo laterale e periferico del percorso ufficiale, probabilmente proveniente da Lourdes.
Non è che abbiamo molto tempo, però l’idea di un ultimo sguardo ai Pirenei che avremmo dovuto esplorare ci fa decidere per la salita. Mentre imbocchiamo la stretta strada che si inoltra nel bosco un piccolo cartello aggiunge interesse all’escursione, preannunciando la vendita di “fromages de chevre”: io e Tina programmiamo all’unisono un acquisto da portarci in Italia, mentre Marina inizia subito a chiedersi preoccupata dove cavolo potremo trasportarli per le prossime 24 e più ore, considerato il profumo che notoriamente emanano. In breve arriviamo alla “croix des Hauteurs”, un crocifisso piantato sull’altopiano; le altezze alle quali si riferisce il nome sono probabilmente le cime lontane che si profilano nella foschia, in controluce al sole che inizia a calare, in un susseguirsi di quinte sovrapposte, fino a confondersi con il cielo. Dietro il crocifisso, piantata nella corteccia di un albero, riappare la conchiglia di Santiago, ad indicare la strada ai viandanti: questo cammino continua a chiamarci, forse dovremmo rispondere…certo non partendo da qui! Dev’essere un qualche ramo laterale e periferico del percorso ufficiale, probabilmente proveniente da Lourdes.
Piuttosto delle sconfinate “mesetas” spagnole, questo saliscendi di colline e boschi ha l’aria escursionistica famigliare delle nostre valli: ci fermiamo un momento sotto un albero a guardare il panorama, e ci scattiamo una delle poche foto di gruppo della vacanza, ora che siamo davvero alla fine, con tanto di autoscatto e corsettina per prendere posto. Nessun monumento alle spalle, niente che riconduca al viaggio, solo noi quattro che ridacchiamo con il sole che ci prende di traverso: se fra qualche anno rivedremo questa foto, sarà impossibile distinguere il posto da uno dei tanti dove siamo stati, a pochi chilometri da casa, nei pomeriggi estivi della nostra vita. Sapremo solo che un giorno, da qualche parte, siamo stati così…e davvero non è poco.
E adesso via, a caccia del formaggio di capra, prima che sia troppo tardi. Le frecce indicano un casolare poco lontano, al quale arriviamo da una strada sterrata, parcheggiando l’auto sull’aia. L’inizio non è molto invitante: un vecchio sta squartando una capra sopra un piano di pietra addossato al muro, tanto per ricordarci che Heidi non abita più qui. Certo non pretendevamo che le caprette ci facessero ciao, però un piccolo sforzo per corteggiare le voglie poetico-bucoliche del turista cittadino potevano farlo…..
Il “Vecchio dell'alpe” (che così si chiamava lo scorbutico nonno di Heidi, e questo ha l’aria di assomigliargli) ci indica l’ingresso della stalla, dicendo qualcosa che non capiamo bene a proposito di una “Maman”, suono universalmente foriero di dolcezze, verso la quale io e Tina ci dirigiamo un po’ rincuorati, evitando di soffermarci troppo con lo sguardo sui quarti posteriori della capra e sul coltello sanguinante nelle mani del macellaio….Marina mi pare preferisca aspettare in auto: non ho sentito il “click”….ma credo che abbia anche chiuso le portiere.
La stalla non ha fatto molti progressi dai tempi di Heidi….ci mettiamo un po’ ad abituare gli occhi all’oscurità, e alla fine, tra un “bonjour” e l’altro, distinguiamo un bambino di 4 o forse 5 anni (Peter?) intento, innegabilmente per quanto improbabilmente, a mungere le capre: in una mano tiene il terminale con le tettarelle pneumatiche (evidente segno di progresso tecnologico), e nell’altra mano ….un biberon per se! Forse è un Sommelier in erba, ad ogni mungitura deve provvedere ad assaggiare il prodotto prima della commercializzazione…..ma a giudicare dal resto dell’ambiente circostante non pare proprio un posto da sommelieres. Ci accorgiamo di avere la faccia pericolosamente all’altezza del posteriore delle capre posizionate sopra il rialzo di mungitura, quindi ci dirigiamo rapidamente ad un’altra porta verso la quale ci precede il bambino, aperta su un cortile posteriore dove sta lavorando un giovanotto, che però non ha intenzione di scendere dal trattore…dopo uno scambio di battute circa la “maman” e la “maison” (giusto quello ho capito….) ci pare di comprendere che bisogna aspettare, ma alla fine arriva la padrona di casa ed iniziamo la compravendita.
La signora sembra orgogliosa del suo prodotto, e la cosa non guasta, anche se non è di per sé una garanzia: c’è gente convinta di valere abbastanza da fare, che so…., il Presidente del Consiglio….ed è convinta di farlo benissimo…ma torniamo ai formaggi che è meglio.
Il locale di produzione è una specie di oasi felice, dal punto di vista igienico, rispetto all’area circostante, ma essendo attiguo alla stalla la lotta all’immigrazione clandestina di parassiti e germi è persa in partenza….ne avremo una conferma in seguito. Comunque sono probabilmente salvaguardate le norme di produzione e, se non altro, le apparenze. Il prodotto è in bella mostra sul banco di lavoro e nella cella di stagionatura: piccole caciottine cilindriche di circa 150 grammi; la casara ci spiega (rigorosamente in francese) le tre tipologie di maturazione di cui dispone al momento, che da una rapida disamina possono essere così riassunte: abbastanza puzzolente, puzzolente, molto puzzolente. Il resto delle specifiche tecniche su cui si dilunga la signora mi sono completamente oscure…Io e Tina procediamo ad un consulto, non molto rapido, sul genere e numero da acquistare, e alla fine ne prendiamo due per ogni tipo di puzza, per la felicità di Marina che intanto è scesa dalla macchina e osserva in apnea la trattativa. Sarebbero 12 euro, ma ci incasiniamo talmente fra monete e banconote che alla fine la signora ne prende 10, esausta per l’attesa e con altra gente dietro che aspetta…..i soliti italiani, avrà pensato….
Torniamo allegramente sull’aia e risaliamo in macchina: mentre voltiamo ho l’impressione che la capretta squartata ci faccia ciao con la zampa pendula….ma sarà stato lo spostamento d’aria.
Lungo la discesa incrociamo il cartello indicatore per il “calvaire” e decidiamo di dare un’occhiata anche a quello, già che ci siamo. La strada finisce in un largo spiazzo pianeggiante in mezzo al bosco; ad una estremità la stazione della crocifissione, con statue a misura umana, e di fronte la cappella della resurrezione.
Gesù appeso alla croce come i due ladroni, Maria e Giovanni ai suoi piedi, ed intorno le lapidi del piccolo cimitero dei religiosi che reggono il santuario (almeno credo…). Hanno scelto di aspettare all’ombra del calvario, piuttosto che là di fronte intorno al Cristo risorto, forse per non peccare in presunzione, forse perché l’esperienza umana, di cui la lapide è certa conclusione, ha più familiarità con la croce che con la resurrezione….La statua del Cristo risorto sopra il timpano della cappella è stata prodotta dallo stesso autore che ha scolpito la statua di Maria nella grotta di Lourdes….una bella responsabilità per due mani sole, e due destini così diversi per le sue opere: la Madre miracolosa ammirata, anche in quest’ora, da centinaia e forse migliaia di occhi in adorazione, il Figlio risorto relegato invece in questo bosco, un po’ in disparte là sul tetto, con unici testimoni, nell’incipiente imbrunire, questi quattro turisti di poca fede. E sì che la sua pasqua, rappresentata nell’opera, è l’unico vero miracolo che possa dare un senso a tutti gli altri, soprattutto alle guarigioni attribuite alla Madre, dato che queste, senza resurrezione, altro non sarebbero che un rinvio più o meno lungo del destino finale che ci ricordano le lapidi la in fondo, verso le quali stiamo tornando per risalire in vettura. Un conoscente di Marina, spesso citato dalla sua famiglia nei momenti di allegria conviviale, amava ricordare che “la vita è una lunga agonia fra la nascita e la morte…”, riciclando un motto che pare fosse shakespeariano….lascio a voi la riflessione che ne consegue, a proposito di malattia, guarigione, morte e resurrezione, dato che si fa tardi e dobbiamo tornare in albergo. Riprendiamo la D937 verso Pau, dove arriviamo rapidamente; il resto della serata se ne va per la cena: prima proviamo il ristorante suggerito dall’albergatrice, fermandoci al listino dei prezzi fortunatamente esposti all’ingresso (decisamente non siamo più in Portogallo…), poi ripieghiamo sul TexMex a fianco delle camere, dove fanno uno sforzo e decidono di servirci nonostante l’ora tardissima (saranno le otto e mezza…..…nottambuli ‘sti francesi!). Così l’ultima cena della nostra vacanza si conclude mangiando messicano in una tavola calda francese, già pensando agli ultimi 1000 e passa chilometri che ci aspettano domani: quindi niente Pau by-night e a letto presto. Le immagini della giornata sono tante e ricche di stimoli; ci ripenso in quei 30-40 secondi che di solito, secondo Marina, impiego ad addormentarmi, ma sono davvero pochi per una rivisitazione organica: forse, mi dico, dovrei scrivere un diario di questo viaggio….
E adesso via, a caccia del formaggio di capra, prima che sia troppo tardi. Le frecce indicano un casolare poco lontano, al quale arriviamo da una strada sterrata, parcheggiando l’auto sull’aia. L’inizio non è molto invitante: un vecchio sta squartando una capra sopra un piano di pietra addossato al muro, tanto per ricordarci che Heidi non abita più qui. Certo non pretendevamo che le caprette ci facessero ciao, però un piccolo sforzo per corteggiare le voglie poetico-bucoliche del turista cittadino potevano farlo…..
Il “Vecchio dell'alpe” (che così si chiamava lo scorbutico nonno di Heidi, e questo ha l’aria di assomigliargli) ci indica l’ingresso della stalla, dicendo qualcosa che non capiamo bene a proposito di una “Maman”, suono universalmente foriero di dolcezze, verso la quale io e Tina ci dirigiamo un po’ rincuorati, evitando di soffermarci troppo con lo sguardo sui quarti posteriori della capra e sul coltello sanguinante nelle mani del macellaio….Marina mi pare preferisca aspettare in auto: non ho sentito il “click”….ma credo che abbia anche chiuso le portiere.
La stalla non ha fatto molti progressi dai tempi di Heidi….ci mettiamo un po’ ad abituare gli occhi all’oscurità, e alla fine, tra un “bonjour” e l’altro, distinguiamo un bambino di 4 o forse 5 anni (Peter?) intento, innegabilmente per quanto improbabilmente, a mungere le capre: in una mano tiene il terminale con le tettarelle pneumatiche (evidente segno di progresso tecnologico), e nell’altra mano ….un biberon per se! Forse è un Sommelier in erba, ad ogni mungitura deve provvedere ad assaggiare il prodotto prima della commercializzazione…..ma a giudicare dal resto dell’ambiente circostante non pare proprio un posto da sommelieres. Ci accorgiamo di avere la faccia pericolosamente all’altezza del posteriore delle capre posizionate sopra il rialzo di mungitura, quindi ci dirigiamo rapidamente ad un’altra porta verso la quale ci precede il bambino, aperta su un cortile posteriore dove sta lavorando un giovanotto, che però non ha intenzione di scendere dal trattore…dopo uno scambio di battute circa la “maman” e la “maison” (giusto quello ho capito….) ci pare di comprendere che bisogna aspettare, ma alla fine arriva la padrona di casa ed iniziamo la compravendita.
La signora sembra orgogliosa del suo prodotto, e la cosa non guasta, anche se non è di per sé una garanzia: c’è gente convinta di valere abbastanza da fare, che so…., il Presidente del Consiglio….ed è convinta di farlo benissimo…ma torniamo ai formaggi che è meglio.
Il locale di produzione è una specie di oasi felice, dal punto di vista igienico, rispetto all’area circostante, ma essendo attiguo alla stalla la lotta all’immigrazione clandestina di parassiti e germi è persa in partenza….ne avremo una conferma in seguito. Comunque sono probabilmente salvaguardate le norme di produzione e, se non altro, le apparenze. Il prodotto è in bella mostra sul banco di lavoro e nella cella di stagionatura: piccole caciottine cilindriche di circa 150 grammi; la casara ci spiega (rigorosamente in francese) le tre tipologie di maturazione di cui dispone al momento, che da una rapida disamina possono essere così riassunte: abbastanza puzzolente, puzzolente, molto puzzolente. Il resto delle specifiche tecniche su cui si dilunga la signora mi sono completamente oscure…Io e Tina procediamo ad un consulto, non molto rapido, sul genere e numero da acquistare, e alla fine ne prendiamo due per ogni tipo di puzza, per la felicità di Marina che intanto è scesa dalla macchina e osserva in apnea la trattativa. Sarebbero 12 euro, ma ci incasiniamo talmente fra monete e banconote che alla fine la signora ne prende 10, esausta per l’attesa e con altra gente dietro che aspetta…..i soliti italiani, avrà pensato….
Torniamo allegramente sull’aia e risaliamo in macchina: mentre voltiamo ho l’impressione che la capretta squartata ci faccia ciao con la zampa pendula….ma sarà stato lo spostamento d’aria.
Lungo la discesa incrociamo il cartello indicatore per il “calvaire” e decidiamo di dare un’occhiata anche a quello, già che ci siamo. La strada finisce in un largo spiazzo pianeggiante in mezzo al bosco; ad una estremità la stazione della crocifissione, con statue a misura umana, e di fronte la cappella della resurrezione.
Gesù appeso alla croce come i due ladroni, Maria e Giovanni ai suoi piedi, ed intorno le lapidi del piccolo cimitero dei religiosi che reggono il santuario (almeno credo…). Hanno scelto di aspettare all’ombra del calvario, piuttosto che là di fronte intorno al Cristo risorto, forse per non peccare in presunzione, forse perché l’esperienza umana, di cui la lapide è certa conclusione, ha più familiarità con la croce che con la resurrezione….La statua del Cristo risorto sopra il timpano della cappella è stata prodotta dallo stesso autore che ha scolpito la statua di Maria nella grotta di Lourdes….una bella responsabilità per due mani sole, e due destini così diversi per le sue opere: la Madre miracolosa ammirata, anche in quest’ora, da centinaia e forse migliaia di occhi in adorazione, il Figlio risorto relegato invece in questo bosco, un po’ in disparte là sul tetto, con unici testimoni, nell’incipiente imbrunire, questi quattro turisti di poca fede. E sì che la sua pasqua, rappresentata nell’opera, è l’unico vero miracolo che possa dare un senso a tutti gli altri, soprattutto alle guarigioni attribuite alla Madre, dato che queste, senza resurrezione, altro non sarebbero che un rinvio più o meno lungo del destino finale che ci ricordano le lapidi la in fondo, verso le quali stiamo tornando per risalire in vettura. Un conoscente di Marina, spesso citato dalla sua famiglia nei momenti di allegria conviviale, amava ricordare che “la vita è una lunga agonia fra la nascita e la morte…”, riciclando un motto che pare fosse shakespeariano….lascio a voi la riflessione che ne consegue, a proposito di malattia, guarigione, morte e resurrezione, dato che si fa tardi e dobbiamo tornare in albergo. Riprendiamo la D937 verso Pau, dove arriviamo rapidamente; il resto della serata se ne va per la cena: prima proviamo il ristorante suggerito dall’albergatrice, fermandoci al listino dei prezzi fortunatamente esposti all’ingresso (decisamente non siamo più in Portogallo…), poi ripieghiamo sul TexMex a fianco delle camere, dove fanno uno sforzo e decidono di servirci nonostante l’ora tardissima (saranno le otto e mezza…..…nottambuli ‘sti francesi!). Così l’ultima cena della nostra vacanza si conclude mangiando messicano in una tavola calda francese, già pensando agli ultimi 1000 e passa chilometri che ci aspettano domani: quindi niente Pau by-night e a letto presto. Le immagini della giornata sono tante e ricche di stimoli; ci ripenso in quei 30-40 secondi che di solito, secondo Marina, impiego ad addormentarmi, ma sono davvero pochi per una rivisitazione organica: forse, mi dico, dovrei scrivere un diario di questo viaggio….
1 commento:
Sapremo solo che un giorno, da qualche parte, siamo stati così…e davvero non è poco.
emozionante...sarà che "gli anni passano per non ripassare più" sarà la menopausa alle porte, ma anch'io ultimamente, quando ripenso a qualche gita, ne assaporo l'essenza della nostra e altrui esistenza dimenticandomi quasi dei luoghi visitati.Ciao Tina
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