20 agosto: l'Alentejo, Evora, Lisbona...



Fino ad un anno fa l’Alentejo semplicemente non c’era, come accade per tutto ciò di cui ignoriamo l’esistenza…L’ho scoperto attraverso la lettura di “Levantado do chao (levato da terra)” di Josè Saramago, premio nobel portoghese per la letteratura nel 1998. In Italia l’opera è stata tradotta come “una terra chiamata Alentejo”, poichè di questa parte del Portogallo racconta. Oggi stiamo attraversando questa grande regione compresa fra l’Algarve e il Tejo, il fiume che sfocia a Lisbona, in direzione Evora. Mi guardo intorno cercando di cogliere un aggancio con i ricordi del libro, che nel paesaggio ha una delle sue chiavi , ma fatico a calzare il mio immaginario di lettore sulla realtà. Forse bisognerebbe fermarsi sotto uno di questi sugheri e riprendere la lettura, alzando ogni tanto lo sguardo intorno per riconoscere i luoghi dove la famiglia Mau-tempo (un nome programmatico..) ed i suoi membri nascono, vivono e muoiono, in una saga che dura un secolo, fino alla rivoluzione dei garofani. Il nostro Alentejo è un susseguirsi di spianate e basse colline punteggiate di sugheri e ulivi, simili credo a tanti altri paesaggi del mezzogiorno europeo. Il libro comincia così: "La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio. Anche se tutto il resto manca, di paesaggio ce n'è sempre stato d'avanzo, un'abbondanza che solo per un miracolo instancabile si spiega, giacché il paesaggio è senza dubbio precedente all'uomo e nonostante ciò, pur esistendo da tanto, non è esaurito ancora." Forse a motivo, aggiunge poi l’autore, che eternamente muta…Rimpiango un po’ di non aver letto prima di questo viaggio un altro libro di Saramago, “Viaggio in Portogallo”, che mi avrebbe forse aiutato a guardare con occhi diversi a questo paese.
Da poco abbiamo lasciato alle spalle le colline che separano il basso Alentejo dalla costa d’Algarve. Lungo la IC1 una piccola deviazione ci ha portato verso il paese di Alte, nascosto in mezzo alle colline. Deve avere amministratori esperti in marketing e pubblicità, perchè figurava in alcune guide come “il più bel paese del Portogallo”….Mantiene meno di quanto promette, tuttavia è carino per passeggiare a piedi….Un po’ meno da girare in macchina: imbocchiamo senza accorgerci un budello acciottolato in contromano, suscitando i rimproveri di un vecchio passante di età indefinibile ed accorgendoci solo all’uscita che, pur nella sua anzianità, ha mantenuto una lucidità e una capacità di giudizio invidiabili…L’attrattiva principale del luogo è una fonte d’acqua (non miracolosa, ma pare terapeutica…), con annesso parchettino ed ochette: è d’obbligo attingere qualche bottiglia alla sorgente. Ne faremo buon uso nei giorni a venire, …a parte quella che avrà la sua fine ingloriosa nella vaschetta lavavetri dell’automobile.
Lasciamo la A2, l’auto-estrada do sul, all’altezza di Castro-Verde, per percorrere la IP2 attraverso Beja e raggiungere, nel primo pomeriggio, Evora.
La città ci appare da lontano, in parte ancora chiusa fra le sue mura medioevali. In quell’epoca era uno dei centri principali del Portogallo, e pare che la modernità non l’abbia molto cambiata (secondo le guide la decadenza economica l’ha “preservata”….).Effettivamente l’area urbana non si stende molto al di là del nucleo antico, ricco di monumenti. Non abbiamo molto tempo, perché stasera dobbiamo essere a Lisbona, ma comunque iniziamo il nostro Tour, puntando alla cattedrale. Il centro si gira comodamente a piedi, da una parte all’altra della cerchia muraria, e quindi ci “spariamo” in rapida successione la cattedrale, il Largo Conde Vila Flor (con i più antichi monumenti romani, ancora in piedi, di tutto il Portogallo), Praca de Sertorio e Praca de Giraldo, per finire con la chiesa di S.Francesco e la sua Capela dos Ossos, un vero inno al “ricordati che devi morire!”. Sull’architrave della porta d’ingresso una scritta invitante : “ nos ossos que aqui estamos pelos vossos esperamos” (noi ossa che stiamo qui….aspettiamo le vostre). In mezzo a quelle pareti interamente rivestite di teschi, femori e tibie verrebbe da dire, come Troisi, “si si, mo’ me lo segno….”. Nemmeno Saramago ama questo luogo: tutte queste ossa recuperate dai monaci dai cimiteri dei poveri cristi e mescolate alla rinfusa sulle pareti, mentre i ricchi e i potenti dormono interi e solitari nei loro mausolei…Ma Saramago, si sa, è un comunista, non ha visioni escatologiche. Speriamo almeno che nell’aldilà le differenze siano finalmente appianate….per quanto anche lì qualcuno vorrebbe ristabilire qualche gerarchia: non è mai finita!
Quando usciamo all’aria aperta abbiamo un vago senso di liberazione, e decidiamo di andare a gustarci il bello di questo “al di qua” nei giardini pubblici…Marina ne approfitta anche per rinfrescarsi con l’impianto d’irrigazione, dato che all’interno del Portogallo, diversamente che sulla costa atlantica, le temperature sono decisamente estive. Ripartiamo da Evora verso le cinque: tre ore per vedere tutta la città, forse sono un po’ pochine….ma il tempo è quel che è (Ugo docet: “ve l’avevo detto…”), Lisbona ci attende.
Prima di riprendere l’autostrada però, gironzoliamo mezzoretta cercando un distributore di GPL…perché il gas è un tipo di carburante prezioso ai fini del risparmio, ma in quanto prezioso…è anche raro!
Antonio si è premunito, prima del viaggio, con un elenco delle stazioni GPL del Portogallo, ma riuscire a dare una collocazione geografica alle denominazioni delle varie località è spesso impresa ardua. Alla fine chiediamo in un bar e dopo una rapida consultazione fra gli avventori ci mandano in una ….rivendita di bombole da cucina. Da qui il gestore ci invita ripetutamente ad andare da un certo Giuseppe (che lui chiama confidenzialmente Bepe..), e che scopriamo essere poi la versione in acronimo portoghese del nostro BP…Se ne impara una nuova tutti i giorni….Comunque alla fine ci siamo riusciti, e si parte sulla A6 verso Lisbona.
Attraversiamo adesso il paesaggio di Saramago, con le località dove ha collocato la saga dei suoi contadini alentejani: Montemor, Monte Lavre, Vendas Novas. Il latifondo di allora sembra aver ceduto il posto a terre coltivate in maniera più intesiva, alternate alle sugherete. Chissà se i braccianti di allora, oggi liberati, hanno mantenuto coscienza delle proprie radici. Il libro di Saramago si conclude con la narrazione della occupazione di queste terre in seguito alla rivoluzione dei garofani, che avviò la fine del latifondo….
“….è un giorno di rivoluzione, accipicchia quanti sono. Passa il nibbio e li conta, un migliaio, per non parlare degli invisibili, è destino che gli uomini vivi siano così ciechi da non tenere il conto esatto di quanti hanno compiuto l’impresa, mille vivi e centomila morti, o due milioni di sospiri che si sono innalzati da terra….” Chissà se anche qui, come in Italia, nuovi schiavi con pelle e idiomi diversi, lavorano per i figli di quei braccianti liberati (figli “così ciechi da non tenere il conto esatto di quanti hanno compiuto l’impresa”) rivendicando inutilmente anche per se quegli stessi diritti conquistati dai padri dei loro padroni…
Ma l’autostrada è scorrevole ed in breve ci lasciamo alle spalle l’Alentejo, superiamo Setubal, con il suo castello alto sulla collina. Ancora poche decine di chilometri ed ecco il Cristo di Lisbona con le sue braccia aperte a guardare la città oltre il Tejo, mentre attraversiamo il ponte 25 aprile. Questo ponte si chiamava Salazar, fino al 25 aprile del 1974.
Questa strana coincidenza ci affratella con i portoghesi: due liberazioni che cadono nello stesso giorno dell’anno. Della nostra liberazione ho solo una conoscenza “culturale” derivante dalle informazioni raccolte su libri o in tv, o qualche racconto di chi c’era (e considerando che chi c’era un po’ alla volta se ne andrà e che libri e tv hanno già cominciato a raccontare un’altra storia….il nostro 25 aprile fra qualche anno non verrà nemmeno più festeggiato…). Del 25 aprile portoghese invece ricordo le immagini in televisione, con i garofani infilati nelle canne dei fucili dei militari che presidiavano le strade…
Per la nostra generazione era “politicamente corretto” sostenere le lotte di liberazione anticoloniali, e quelle africane (Angola, Mozambico, Guinea…) vedevano nel fascismo portoghese il nemico da abbattere. A più di 30 anni da allora fa un po’ tristezza constatare quel che hanno saputo combinare le nostre democrazie sul terreno dello sviluppo per il continente africano….rivestendo di abiti civili gli stessi principi di sfruttamento portati avanti dai colonialisti di allora
Va be’, lasciamo perdere i garofani, Salazar e Caetano, che ogni popolo ha i suoi percorsi storici da “revisionare” e probabilmente anche qui, prima o poi, ricambieranno il nome al ponte…
L’ingresso in città è facilitato dal tunnel che in breve conduce alla piazza Marchese de Pombal, e da lì al quartiere di Saldanha, zona alberghiera di Lisbona. Il nostro Ibis è vicino alla piazza omonima. Piccolo promemoria: le auto a gpl non possono parcheggiare al coperto….pensateci se il vostro albergo è in centro ad una capitale…Per fortuna poco lontano troviamo un’area a cielo aperto dove lasciare l’auto per il giorno seguente (ovviamente a pagamento…). Questa zona della città è un misto di palazzi fine 800 e strutture moderne, larghi viali, piazze monumentali…nell’insieme è simile a tante capitali europee. Colpisce la pavimentazione dei marciapiedi, verrebbe da dire “ostinatamente” in porfido, il che rende certo più gradevole l’aspetto, ma complicata la manutenzione, con le ovvie conseguenze…Inoltre facciamo subito conoscenza con “Lisbona città della ristrutturazione”, come leggeremo il giorno seguente su alcuni pannelli di copertura dei lavori in centro: cantieri un po’ dappertutto.
Alla reception incappiamo in una coppia italiana stile Verdone-Gerini di “famolo strano”, con tanto di motocicletta parcheggiata fuori, che contrattano il prezzo di una doppia per la notte. Marina raccomanda di non farmi sentire a parlare: se qualcuno ci chiedesse adesso la nazionalità negheremmo come S.Pietro, fino al canto del gallo. È questo il problema di noi italiani…non abbiamo il senso di appartenenza alla patria…
Ci dedichiamo anche noi, come Lisbona, ad un po’ di ristrutturazione, prima di uscire per la cena, armati di mappe dettagliate e indicazioni Lonely Planet circa un ristorante “italiano” qui in zona (perché anche questa sera gli stomaci hanno nostalgia di casa …e sono notoriamente l’unica componente patriottica dell’italiano all’estero). Lungo il percorso incrociamo un McDonald e altri Fast food, che ci lasciamo sdegnosamente alle spalle puntando dritti alla meta…che scopriamo però essere scomparsa sotto una serie di impalcature. Fanculo la restruturacao! Torniamo mestamente sui nostri passi, iniziando ad orbitare pericolosamente intorno alla zona Fast food. Deve esserci una qualche forza gravitazionale che attrae i turisti verso i McDonald, probabilmente con un’energia inversamente proporzionale alla pesantezza dei loro portafogli……credo si potrebbe descrivere il fenomeno attraverso una funzione matematica…alla fine capitoliamo all’ora tarda e agli stomaci brontolanti, e ci ritroviamo seduti a mangiare un McChicken alle 10 di sera in una sala deserta, pensando che non dovremo mai raccontarlo a Loredana e Ugo (…365 modi diversi di cucinare il baccalà…..cazzo!) e tantomeno ai figli, che da anni tormentiamo con la storia di quanto fa schifo il cibo nei fast food…
Ri…albergando facciamo il giro dell’isolato e transitiamo davanti ad un inaspettato ristorante italiano che promette spaghetti e lasagne ….a prezzi italiani. Il panino nello stomaco ha un sussulto di vita propria, come un feto nel grembo materno, ma lo rassicuro mentalmente: “…tranquillo Mc, per stasera niente scontro di civiltà a livello gastrico, ti lascio tranquillo fino a colazione, cerca di fare altrettanto….”. Penso di averlo convinto, perché passerò tutto sommato una notte serena….
Prima di addormentarci, un’occhiata alla tv: a Madrid un aereo è esploso al decollo, un centinaio di morti. Vite sconosciute dirette ai luoghi di vacanza, come noi, tranquillamente sedute in aereo, come noi pochi giorni fa, semplicemente finite in un attimo. Qual è il primo pensiero davanti a una tragedia così? “…per il calcolo delle probabilità diminuisce la possibilità che cada il mio volo…”. Non c’è niente da fare, è qualche cosa che si riallaccia con l’inconcepibilità della Capela dos ossos per noi uomini moderni, con la rimozione del concetto stesso di morte dalle nostre esistenze, dalla nostra civiltà proiettata verso un progresso “infinito”, la crescita costante del PIL ecc. ecc..
Pensieri pesanti da fare in vacanza, sarà meglio spegnere la luce e abbandonarci a quel surrogato blando della morte che è il sonno, con la confortante certezza del risveglio.

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