Questa mattina è quel che si dice ‘un giorno radioso’. Le nuvole di ieri sera hanno lasciato spazio ad un cielo sereno che invoglia il turista a nuove scoperte. Il programma di oggi prevede il trasferimento verso nord, con pernottamento ad Alcobaca, passando per il promontorio di Sintra e Cabo da Roca, il punto più ad ovest dell’intero continente europeo, che, dopo quello più a sud a Tarifa, non possiamo certo mancare…
Ma prima concluderemo la nostra breve visita nella capitale con una deviazione a Belem, il quartiere ad ovest di Lisbona, famoso per il monastero dos Jeronimos, la torre sul fiume e, scopriremo poi, i suoi pasticcini.
Antonio recupera all’alba (in termini turistici: le sette e mezza….) l’auto al parcheggio, e riattraversiamo il centro, passando per il Rossio e Praca do Commercio: temevamo ingorghi, invece inesistenti, probabilmente l’agosto aiuta, e in breve raggiungiamo Belem, mentre ancora nella chiesa del monastero sono in corso le funzioni mattutine. Decidiamo di tornare più tardi. Intanto facciamo due passi per il parco lungo il Tejo. Di fronte al monastero il moderno Centro Culturale di Belem, pare poco amato dai portoghesi, domina l’intera area. Dalle sue terrazze sopraelevate apprezziamo quanto dista la Torre…e decidiamo di andarci poi in macchina. Oltre la ferrovia e la strada che costeggiano il mare si eleva il Padrao do Descobrimentos, il monumento alle ‘scoperte’ geografiche del 15° secolo: un’enorme prua di cemento puntata verso il mare, popolata da giganti di pietra armati dei simboli della fede…e dei pesanti spadoni che li accompagnavano in quelle epoche. Anche i portoghesi popolo di santi e navigatori, probabilmente anche di poeti….che non si nega a nessuno un po’ di vena artistica. Davanti a tutti, sulla prua, il mitico Infante don Henrique, il principe di Sagres e della scuola di navigazione. Pare che la sua impresa marittima più importante sia stata….. la conquista di Ceuta, di fronte a Gibilterra. Non molto lontano dalle colonne d’ercole, direi…In mano regge una caravella, di cui si favoleggia sia l’artefice-ideatore con la sua “scuola”; probabilmente ne avrà maneggiato qualche modellino, sognando la conquista di mondi inesplorati, mentre guardava il mare sconfinato da capo S.Vicente…di certo si sa che ha pagato i viaggi di alcuni fra quelli che, sul monumento, lo seguono a rispettosa distanza, ma senza mai imbarcarsi: insomma, mi sembra il solito “armiamoci e partite”. Comunque, per uno in cima al monumento degli eroi ce ne sono sempre mille che gli hanno fatto da sgabello….e allora penso “qui almeno hanno avuto il buon gusto di fare posto a una trentina…”. In realtà scoprirò poi che non c’è nessun intruso nel gruppo, tutti hanno un nome e un cognome: re , poeti, pittori,… tutte le glorie nazionali in fila indiana dietro il condottiero, neanche uno sfigato marinaio, dei tanti finiti in fondo all’oceano a maggior gloria della patria e del principe.
Sul selciato del piazzale, una rosa dei venti in marmo circoscrive un planisfero, dove sono tracciate le rotte che hanno portato il Portogallo a diventare una potenza commerciale in quei secoli: il monastero che risplende nel sole di la dal parco è stato costruito con il 5% delle imposte riscosse sull’importazione delle spezie dall’India….altro che otto per mille!
Con Marina cammino lungo la rotta di Vasco de Gama, dal Portogallo all’oriente misterioso attraverso il Capo di buona Speranza, da dove provengono questi marmi, per poi riattraversare il sottopasso e tornare al monastero, dove ci aspettano Tina e Antonio.
Pare l’abbiano costruito, il monastero, per ringraziare Dio del ritorno di Vasco de Gama dalle Indie: devono aver fatto i conti in fretta, circa gli introiti dell’impresa, considerato che poi hanno impiegato 100 anni a finirlo….Comunque sembrano soldi spesi bene, almeno dal punto di vista artistico….Nella navata sinistra la tomba di Vasco de Gama è attorniata da turisti chiassosi: di certo ha avuto più silenzio in vita , da un oceano all’altro, che in questi secoli fra la folla. È il pegno da pagare per la gloria…
Usciamo nel sole e torniamo verso la macchina. Lungo il percorso la nostra attenzione è attratta dal solito gruppo turistico scaricato da un pullman davanti ad una vetrina. L’insegna dice Pasteis de Belem, anzi, specifica “unica fabrica dos pasteis de Belem”. Ne parla anche la guida, quindi ci avviciniamo, e scopriamo che si tratta dei dolcetti che stiamo mangiando da due mattine e fregando dal buffet a man bassa…Marina ed io, tornati a casa, proveremo a riprodurli, con esito incerto: più del ricordo stimoleranno la nostalgia….
Comunque per chi volesse cimentarsi qui c’è la ricetta http://www.solofornelli.it/03122007/ricetta-i-pasteis-de-belem/
Se invece volete ordinarli direttamente alla fabbrica….http://www.pasteisdebelem.pt/
Risaliamo in macchina per un breve tratto fino alla Torre di Belem, altro monumento in stile “manuelino” (come il monastero e… quasi tutto in Portogallo…). Anche qui, come al Monastero, evitiamo gli ingressi a pagamento: il tempo è denaro…. non abbiamo ne uno ne l’altro. Nel parco intorno alla torre una famiglia sudamericana suona musica andina: gli “scoperti” che vengono a scoprire gli “scopritori”, in questo grande viavai che è diventato il mondo…..
E anche noi dobbiamo fare la nostra parte di scoperta, quindi via, che la strada è ancora lunga, si sale in macchina in direzione Nord, verso Sintra.
Sintra dovrebbe essere un po’ la Versailles portoghese, insieme alla vicina Cascais, rinomata località turistica. È in collina, ai piedi della serra omonima che si protende verso il mare fino a Cabo da Roca. Qui i nobili portoghesi si rifugiarono dopo il terremoto che distrusse Lisbona, nel 1755, nelle loro residenze estive. Qui la borghesia portoghese di oggi cerca di emularli, ma con ville più modeste. Non ci fermiamo al palazzo reale, il piazzale già pieno di pullman ci toglie i residui desideri, preferendo proseguire verso il parco del Castello da Pena, in cerca di un po’ di natura.
La strada risale nel bosco per qualche kilometro, fino ad un parcheggio a pagamento, che ignoriamo fermandoci in divieto lungo la strada….va beh dai, siamo turisti italiani….In compenso paghiamo l’ingresso al parco, che comunque merita la spesa. Un misto di giardino botanico e parco naturale, bosco e riserva di caccia, doveva essere un posto “incantevole” e anche “incantato”, certamente Romantico, come l’epoca in cui è stato costruito. Il castello sullo sperone di roccia più in alto ricorda quello di Ludwig in Baviera, ma in realtà questo è stato costruito 40 anni prima, quindi ha la primogenitura nel genere….L’ambientazione non ha niente di …portoghese, per come ci aspettavamo il Portogallo. Nemmeno il clima: il vento rinfresca mano a mano che risaliamo fra laghetti, grotte e belvedere verso il punto più alto della Serra, i 530 metri della Cruz alta. Da qui la vista ripaga lo sforzo, sia quello di salire che quello di stare in piedi aggrappati alla croce….qui davvero “tutto questo vento intorno è ….lusitania”. Lisbona e l’estuario del Tago verso sud, e l’oceano ad occidente, con il Cabo prossima meta…Il resto è terra sconosciuta, colline di Estremadura e destinazioni dei giorni a venire. Ci concediamo una pausa riparati dal vento fra le rocce della cima, mangiando gli ultimi pasticcini di Belem e i panini, alla salute dell’ Ibis di Saldanha. Nella pianura sottostante, verso Cascais, si intravede il circuito dell’Estoril e Antonio ripensa un po’ alla sua moto, immaginando Valentino in piega…..
Il tempo corre veloce e dobbiamo scendere. Una rapida occhiata al castello (solo da fuori, l’ingresso è un po’ costoso…) per apprezzarne…l’accozzaglia di stili, e poi torniamo alla macchina per un percorso nel bosco vietato ai turisti: che volete, siamo fatti così, un po’ discoli…
Ripartiamo nel primo pomeriggio verso Cabo de Roca, ci perdiamo lo svincolo giusto e finiamo dentro Cascais. In Italia questa località è famosa essenzialmente per l’esilio del “re di maggio”, Umberto II di Savoia, noto anche come “Stellassa” per le sue propensioni omosessuali…Qui scelse di venire dopo la proclamazione della repubblica nel Giugno ’46, secondo il suo ultimo messaggio “per evitare all’Italia altri spargimenti di sangue”. Questo me lo rende più simpatico: dopo tutte le nefandezze di casa Savoia, l’idea che il regno sia finito con un gay che se ne va salutando con un “Peace and Love” per dedicarsi ai suoi amori in esilio mi pare un giusto contrappasso per la retorica guerresca della nostra dinastia regnante. Evitiamo di cercare la dimora reale, ed eviteremmo volentieri anche l’ingorgo in cui siamo finiti. Antonio, scoraggiato, comincia ad avanzare dubbi sulla possibilità di arrivare alla meta, ma fortunatamente ritroviamo rapidamente le indicazioni per la N9-1 e ci dirigiamo verso Nord, proseguendo sulla N247 fino al bivio per il Cabo da Roca.
“Aqui... Onde a terra se acaba e o mar começa....” (Qui... dove la terra finisce e il mare comincia.). Così sta scritto sulla lapide del monumento che avvisa il viandante che non può seguire ulteriormente il sole nella sua corsa verso occidente. Sono le parole usate dal poeta Luis de Camoes per descrivere questo luogo, divenute poi il simbolo stesso di tutto il Portogallo. Le “spoglie mortali” dell’autore (o meglio: il monumento che lo celebra) le abbiamo lasciate questa mattina nel Monastero dos Jeronimos a Lisbona, insieme a Vasco de Gama, ma il suo spirito di certo si aggira su questa scogliera, sempre che abbia trovato qualcosa a cui aggrapparsi, perché altrimenti il vento l’ha già portato in Brasile….
Noi ci copriamo con i teli-spugna per proteggerci dalla temperatura non propriamente estiva e facciamo diligentemente la coda per fotografarci davanti al monumento. Latitudine 38°,47 nord – longitudine 9°,30 ovest, così noi uomini moderni abbiamo deciso di catalogare i luoghi. Per gli antichi romani era il “Promontorium Magnum”, tutta un’altra cosa….e più consono alla grandiosità del posto.
Ritorniamo sulla N247 che prosegue costeggiando le pendici nord della Serra da Sintra, fra boschi e campagne coltivate, e ville che proseguono la tradizione residenziale dei luoghi, fino ad imboccare, oltre Sintra, la IC16 verso nord, non senza la ormai usuale escursione in cerca di gas. Questa volta visitiamo la ridente località di Algueirao Mem Martins, che si distingue per la perspicacia dei residenti nel comprendere le nostre richieste ed indicarci il distributore. Vero che poco prima ci avevano mandato dalla parte opposta per qualche kilometro, ma avevamo chiesto al gestore di un distributore….non si può pretendere di andare contro le leggi della concorrenza…
Risaliamo la N9 verso Mafra e il suo palazzo-convento-basilica. Il romanzo “memoriale del convento” di Saramago inizia descrivendo la genesi di questo monumento barocco, eretto (anche questo!) a ringraziamento per la nascita dell’erede reale di Giovanni 5°, negli anni fra 1711 e il 1730, grazie soprattutto all’oro proveniente dal Brasile. Il racconto della costruzione si intreccia in realtà con quello di questi luoghi e dei due personaggi fantastici Blimunda e Baltasar, nonchè del visionario padre Lourenco e della sua macchina volante. Attraversiamo Pero-Phineiro, Cheleiros e i luoghi percorsi dal trasporto dell’architrave d’ingresso della basilica di Mafra, “la madre di tutte le pietre” come dicono gli scavatori nel romanzo di Saramago, che così bene descrive l’epica degli umili, fatta di fatica, sudore e morte sul lavoro. Noi oggi attraversiamo velocemente in automobile il tragitto che allora richiedeva giorni di traino con i buoi, ma in quanto a morti sul lavoro, vien da pensare, il progresso non è stato altrettanto efficace. Questione di priorità.
Lasciamo Mafra e il suo convento alle nostre spalle, senza fermarci perché abbiamo ancora parecchia strada da fare fino ad Alcobaca, e vorremmo arrivare prima del buio. Più a Nord costeggeremo la Serra di MonteJunto, ultimo ricordo letterario collegato al “memoriale del convento”: su questo monte la fantasia di Saramago ha fatto atterrare la macchina volante dopo il suo primo (e penultimo) volo. Ma non vi sto a raccontare il finale, è un libro che merita una lettura.
La A8, autostrada dell’ovest, è scorrevole e attraversa distese boscose, un paesaggio completamente diverso da quello incontrato fino a Lisbona. Vediamo scorrere in lontananza le mura di Obidos, dove ci ripromettiamo di tornare, e in breve arriviamo in prossimità di Alcobaca. Antonio ha scelto questa cittadina per la sua posizione centrale fra il mare e l’entroterra, per fermarci tre notti a riposare un po’ e visitare con calma i dintorni. La scelta è stata casuale, scopriremo poi leggendo le guide che questo posto è in realtà “centrale” anche per la storia del Portogallo. La principale attrattiva è il Monastero di S.Maria, anzi si può dire che Alcobaca è il monastero di S.Maria. Lo capiamo subito quando, arrivati in città, ci fermiamo a chiedere informazioni per l’hotel: la ragazza ci dice semplicemente (un po’ in inglese e un po’ in portoghese) che è “dietro il monastero”…faccio finta di aver capito e andiamo a chiedere informazioni un po’ più avanti, dove ci indicano, a vista, le torri del monastero come riferimento. Alla fine arriviamo all’albergo che è, per l’appunto, a fianco del monastero, in una bella posizione sulla piazza principale, e si chiama…. Hotel S.Maria. Ha conosciuto probabilmente momenti di maggior gloria, ma , per quello che costa, è più che decoroso. Solo la gestione è un poco “asettica”, ricorda gli alberghi degli ordini religiosi a Roma, anche nella tipologia e abbigliamento del personale femminile: forse sono abituati all’accoglienza di comitive di pellegrini, in fondo Fatima è a poche decine di chilometri. L’addetto alla reception sfiora il limite della totale indifferenza al nostro arrivo, ma alla fine guadagniamo le camere. Dalla finestra osservo la facciata della chiesa e il grande sagrato sulla piazza deserta, ripensando a quello che ho letto su questo edificio: la storia, l’architettura ma, soprattutto la vicenda amorosa di Pietro e Ines, che sono un po’ i Romeo e Giulietta del Portogallo, con l’aggravante dei particolari truculenti e della storicità degli eventi.
Un po’ di ristoro e poi scendiamo per cercare un ristorante. Dopo le “sardinhas asadas” di ieri sera vorremmo proseguire il nostro tour gastronomico nelle specialità portoghesi, ma è inutile chiedere consigli al ragazzo dell’accoglienza: ci indica genericamente la piazza, dove effettivamente si allineano vari locali. Passeggiando veniamo accalappiati da un “buttadentro” con la propensione per le lingue, che ci identifica per italiani ancora da lontano e vince le nostre (scarse, data l’ora..) resistenze. Io e Antonio ci concediamo la tipica “cataplana di carne all’alentejana”, anche se siamo in Estremadura e l’Alentejo è lontano. Spero che anche l’originale sia, gastronomicamente, lontano da quello che ci hanno somministrato….che non è niente di speciale, ammesso che si potessero nutrire aspettative (come preventivamente osservato da Marina) su un misto di carne di maiale e cozze…..
Comunque l’appetito è sufficiente per spazzolare il tutto e la stanchezza altrettanto per farci tornare rapidamente in albergo dopo due passi canonici per la digestione. La giornata è stata “densa” di eventi e chilometri, sia a piedi che in macchina, quindi auguriamo la buonanotte ai due amanti portoghesi che dormono nel monastero lì di fronte (un po’ spettrale nella notte…) e ci godiamo il meritato riposo.
Ma prima concluderemo la nostra breve visita nella capitale con una deviazione a Belem, il quartiere ad ovest di Lisbona, famoso per il monastero dos Jeronimos, la torre sul fiume e, scopriremo poi, i suoi pasticcini.
Antonio recupera all’alba (in termini turistici: le sette e mezza….) l’auto al parcheggio, e riattraversiamo il centro, passando per il Rossio e Praca do Commercio: temevamo ingorghi, invece inesistenti, probabilmente l’agosto aiuta, e in breve raggiungiamo Belem, mentre ancora nella chiesa del monastero sono in corso le funzioni mattutine. Decidiamo di tornare più tardi. Intanto facciamo due passi per il parco lungo il Tejo. Di fronte al monastero il moderno Centro Culturale di Belem, pare poco amato dai portoghesi, domina l’intera area. Dalle sue terrazze sopraelevate apprezziamo quanto dista la Torre…e decidiamo di andarci poi in macchina. Oltre la ferrovia e la strada che costeggiano il mare si eleva il Padrao do Descobrimentos, il monumento alle ‘scoperte’ geografiche del 15° secolo: un’enorme prua di cemento puntata verso il mare, popolata da giganti di pietra armati dei simboli della fede…e dei pesanti spadoni che li accompagnavano in quelle epoche. Anche i portoghesi popolo di santi e navigatori, probabilmente anche di poeti….che non si nega a nessuno un po’ di vena artistica. Davanti a tutti, sulla prua, il mitico Infante don Henrique, il principe di Sagres e della scuola di navigazione. Pare che la sua impresa marittima più importante sia stata….. la conquista di Ceuta, di fronte a Gibilterra. Non molto lontano dalle colonne d’ercole, direi…In mano regge una caravella, di cui si favoleggia sia l’artefice-ideatore con la sua “scuola”; probabilmente ne avrà maneggiato qualche modellino, sognando la conquista di mondi inesplorati, mentre guardava il mare sconfinato da capo S.Vicente…di certo si sa che ha pagato i viaggi di alcuni fra quelli che, sul monumento, lo seguono a rispettosa distanza, ma senza mai imbarcarsi: insomma, mi sembra il solito “armiamoci e partite”. Comunque, per uno in cima al monumento degli eroi ce ne sono sempre mille che gli hanno fatto da sgabello….e allora penso “qui almeno hanno avuto il buon gusto di fare posto a una trentina…”. In realtà scoprirò poi che non c’è nessun intruso nel gruppo, tutti hanno un nome e un cognome: re , poeti, pittori,… tutte le glorie nazionali in fila indiana dietro il condottiero, neanche uno sfigato marinaio, dei tanti finiti in fondo all’oceano a maggior gloria della patria e del principe.
Sul selciato del piazzale, una rosa dei venti in marmo circoscrive un planisfero, dove sono tracciate le rotte che hanno portato il Portogallo a diventare una potenza commerciale in quei secoli: il monastero che risplende nel sole di la dal parco è stato costruito con il 5% delle imposte riscosse sull’importazione delle spezie dall’India….altro che otto per mille!
Con Marina cammino lungo la rotta di Vasco de Gama, dal Portogallo all’oriente misterioso attraverso il Capo di buona Speranza, da dove provengono questi marmi, per poi riattraversare il sottopasso e tornare al monastero, dove ci aspettano Tina e Antonio.
Pare l’abbiano costruito, il monastero, per ringraziare Dio del ritorno di Vasco de Gama dalle Indie: devono aver fatto i conti in fretta, circa gli introiti dell’impresa, considerato che poi hanno impiegato 100 anni a finirlo….Comunque sembrano soldi spesi bene, almeno dal punto di vista artistico….Nella navata sinistra la tomba di Vasco de Gama è attorniata da turisti chiassosi: di certo ha avuto più silenzio in vita , da un oceano all’altro, che in questi secoli fra la folla. È il pegno da pagare per la gloria…
Usciamo nel sole e torniamo verso la macchina. Lungo il percorso la nostra attenzione è attratta dal solito gruppo turistico scaricato da un pullman davanti ad una vetrina. L’insegna dice Pasteis de Belem, anzi, specifica “unica fabrica dos pasteis de Belem”. Ne parla anche la guida, quindi ci avviciniamo, e scopriamo che si tratta dei dolcetti che stiamo mangiando da due mattine e fregando dal buffet a man bassa…Marina ed io, tornati a casa, proveremo a riprodurli, con esito incerto: più del ricordo stimoleranno la nostalgia….
Comunque per chi volesse cimentarsi qui c’è la ricetta http://www.solofornelli.it/03122007/ricetta-i-pasteis-de-belem/
Se invece volete ordinarli direttamente alla fabbrica….http://www.pasteisdebelem.pt/
Risaliamo in macchina per un breve tratto fino alla Torre di Belem, altro monumento in stile “manuelino” (come il monastero e… quasi tutto in Portogallo…). Anche qui, come al Monastero, evitiamo gli ingressi a pagamento: il tempo è denaro…. non abbiamo ne uno ne l’altro. Nel parco intorno alla torre una famiglia sudamericana suona musica andina: gli “scoperti” che vengono a scoprire gli “scopritori”, in questo grande viavai che è diventato il mondo…..
E anche noi dobbiamo fare la nostra parte di scoperta, quindi via, che la strada è ancora lunga, si sale in macchina in direzione Nord, verso Sintra.
Sintra dovrebbe essere un po’ la Versailles portoghese, insieme alla vicina Cascais, rinomata località turistica. È in collina, ai piedi della serra omonima che si protende verso il mare fino a Cabo da Roca. Qui i nobili portoghesi si rifugiarono dopo il terremoto che distrusse Lisbona, nel 1755, nelle loro residenze estive. Qui la borghesia portoghese di oggi cerca di emularli, ma con ville più modeste. Non ci fermiamo al palazzo reale, il piazzale già pieno di pullman ci toglie i residui desideri, preferendo proseguire verso il parco del Castello da Pena, in cerca di un po’ di natura.
La strada risale nel bosco per qualche kilometro, fino ad un parcheggio a pagamento, che ignoriamo fermandoci in divieto lungo la strada….va beh dai, siamo turisti italiani….In compenso paghiamo l’ingresso al parco, che comunque merita la spesa. Un misto di giardino botanico e parco naturale, bosco e riserva di caccia, doveva essere un posto “incantevole” e anche “incantato”, certamente Romantico, come l’epoca in cui è stato costruito. Il castello sullo sperone di roccia più in alto ricorda quello di Ludwig in Baviera, ma in realtà questo è stato costruito 40 anni prima, quindi ha la primogenitura nel genere….L’ambientazione non ha niente di …portoghese, per come ci aspettavamo il Portogallo. Nemmeno il clima: il vento rinfresca mano a mano che risaliamo fra laghetti, grotte e belvedere verso il punto più alto della Serra, i 530 metri della Cruz alta. Da qui la vista ripaga lo sforzo, sia quello di salire che quello di stare in piedi aggrappati alla croce….qui davvero “tutto questo vento intorno è ….lusitania”. Lisbona e l’estuario del Tago verso sud, e l’oceano ad occidente, con il Cabo prossima meta…Il resto è terra sconosciuta, colline di Estremadura e destinazioni dei giorni a venire. Ci concediamo una pausa riparati dal vento fra le rocce della cima, mangiando gli ultimi pasticcini di Belem e i panini, alla salute dell’ Ibis di Saldanha. Nella pianura sottostante, verso Cascais, si intravede il circuito dell’Estoril e Antonio ripensa un po’ alla sua moto, immaginando Valentino in piega…..
Il tempo corre veloce e dobbiamo scendere. Una rapida occhiata al castello (solo da fuori, l’ingresso è un po’ costoso…) per apprezzarne…l’accozzaglia di stili, e poi torniamo alla macchina per un percorso nel bosco vietato ai turisti: che volete, siamo fatti così, un po’ discoli…
Ripartiamo nel primo pomeriggio verso Cabo de Roca, ci perdiamo lo svincolo giusto e finiamo dentro Cascais. In Italia questa località è famosa essenzialmente per l’esilio del “re di maggio”, Umberto II di Savoia, noto anche come “Stellassa” per le sue propensioni omosessuali…Qui scelse di venire dopo la proclamazione della repubblica nel Giugno ’46, secondo il suo ultimo messaggio “per evitare all’Italia altri spargimenti di sangue”. Questo me lo rende più simpatico: dopo tutte le nefandezze di casa Savoia, l’idea che il regno sia finito con un gay che se ne va salutando con un “Peace and Love” per dedicarsi ai suoi amori in esilio mi pare un giusto contrappasso per la retorica guerresca della nostra dinastia regnante. Evitiamo di cercare la dimora reale, ed eviteremmo volentieri anche l’ingorgo in cui siamo finiti. Antonio, scoraggiato, comincia ad avanzare dubbi sulla possibilità di arrivare alla meta, ma fortunatamente ritroviamo rapidamente le indicazioni per la N9-1 e ci dirigiamo verso Nord, proseguendo sulla N247 fino al bivio per il Cabo da Roca.
“Aqui... Onde a terra se acaba e o mar começa....” (Qui... dove la terra finisce e il mare comincia.). Così sta scritto sulla lapide del monumento che avvisa il viandante che non può seguire ulteriormente il sole nella sua corsa verso occidente. Sono le parole usate dal poeta Luis de Camoes per descrivere questo luogo, divenute poi il simbolo stesso di tutto il Portogallo. Le “spoglie mortali” dell’autore (o meglio: il monumento che lo celebra) le abbiamo lasciate questa mattina nel Monastero dos Jeronimos a Lisbona, insieme a Vasco de Gama, ma il suo spirito di certo si aggira su questa scogliera, sempre che abbia trovato qualcosa a cui aggrapparsi, perché altrimenti il vento l’ha già portato in Brasile….
Noi ci copriamo con i teli-spugna per proteggerci dalla temperatura non propriamente estiva e facciamo diligentemente la coda per fotografarci davanti al monumento. Latitudine 38°,47 nord – longitudine 9°,30 ovest, così noi uomini moderni abbiamo deciso di catalogare i luoghi. Per gli antichi romani era il “Promontorium Magnum”, tutta un’altra cosa….e più consono alla grandiosità del posto.
Ritorniamo sulla N247 che prosegue costeggiando le pendici nord della Serra da Sintra, fra boschi e campagne coltivate, e ville che proseguono la tradizione residenziale dei luoghi, fino ad imboccare, oltre Sintra, la IC16 verso nord, non senza la ormai usuale escursione in cerca di gas. Questa volta visitiamo la ridente località di Algueirao Mem Martins, che si distingue per la perspicacia dei residenti nel comprendere le nostre richieste ed indicarci il distributore. Vero che poco prima ci avevano mandato dalla parte opposta per qualche kilometro, ma avevamo chiesto al gestore di un distributore….non si può pretendere di andare contro le leggi della concorrenza…
Risaliamo la N9 verso Mafra e il suo palazzo-convento-basilica. Il romanzo “memoriale del convento” di Saramago inizia descrivendo la genesi di questo monumento barocco, eretto (anche questo!) a ringraziamento per la nascita dell’erede reale di Giovanni 5°, negli anni fra 1711 e il 1730, grazie soprattutto all’oro proveniente dal Brasile. Il racconto della costruzione si intreccia in realtà con quello di questi luoghi e dei due personaggi fantastici Blimunda e Baltasar, nonchè del visionario padre Lourenco e della sua macchina volante. Attraversiamo Pero-Phineiro, Cheleiros e i luoghi percorsi dal trasporto dell’architrave d’ingresso della basilica di Mafra, “la madre di tutte le pietre” come dicono gli scavatori nel romanzo di Saramago, che così bene descrive l’epica degli umili, fatta di fatica, sudore e morte sul lavoro. Noi oggi attraversiamo velocemente in automobile il tragitto che allora richiedeva giorni di traino con i buoi, ma in quanto a morti sul lavoro, vien da pensare, il progresso non è stato altrettanto efficace. Questione di priorità.
Lasciamo Mafra e il suo convento alle nostre spalle, senza fermarci perché abbiamo ancora parecchia strada da fare fino ad Alcobaca, e vorremmo arrivare prima del buio. Più a Nord costeggeremo la Serra di MonteJunto, ultimo ricordo letterario collegato al “memoriale del convento”: su questo monte la fantasia di Saramago ha fatto atterrare la macchina volante dopo il suo primo (e penultimo) volo. Ma non vi sto a raccontare il finale, è un libro che merita una lettura.
La A8, autostrada dell’ovest, è scorrevole e attraversa distese boscose, un paesaggio completamente diverso da quello incontrato fino a Lisbona. Vediamo scorrere in lontananza le mura di Obidos, dove ci ripromettiamo di tornare, e in breve arriviamo in prossimità di Alcobaca. Antonio ha scelto questa cittadina per la sua posizione centrale fra il mare e l’entroterra, per fermarci tre notti a riposare un po’ e visitare con calma i dintorni. La scelta è stata casuale, scopriremo poi leggendo le guide che questo posto è in realtà “centrale” anche per la storia del Portogallo. La principale attrattiva è il Monastero di S.Maria, anzi si può dire che Alcobaca è il monastero di S.Maria. Lo capiamo subito quando, arrivati in città, ci fermiamo a chiedere informazioni per l’hotel: la ragazza ci dice semplicemente (un po’ in inglese e un po’ in portoghese) che è “dietro il monastero”…faccio finta di aver capito e andiamo a chiedere informazioni un po’ più avanti, dove ci indicano, a vista, le torri del monastero come riferimento. Alla fine arriviamo all’albergo che è, per l’appunto, a fianco del monastero, in una bella posizione sulla piazza principale, e si chiama…. Hotel S.Maria. Ha conosciuto probabilmente momenti di maggior gloria, ma , per quello che costa, è più che decoroso. Solo la gestione è un poco “asettica”, ricorda gli alberghi degli ordini religiosi a Roma, anche nella tipologia e abbigliamento del personale femminile: forse sono abituati all’accoglienza di comitive di pellegrini, in fondo Fatima è a poche decine di chilometri. L’addetto alla reception sfiora il limite della totale indifferenza al nostro arrivo, ma alla fine guadagniamo le camere. Dalla finestra osservo la facciata della chiesa e il grande sagrato sulla piazza deserta, ripensando a quello che ho letto su questo edificio: la storia, l’architettura ma, soprattutto la vicenda amorosa di Pietro e Ines, che sono un po’ i Romeo e Giulietta del Portogallo, con l’aggravante dei particolari truculenti e della storicità degli eventi.
Un po’ di ristoro e poi scendiamo per cercare un ristorante. Dopo le “sardinhas asadas” di ieri sera vorremmo proseguire il nostro tour gastronomico nelle specialità portoghesi, ma è inutile chiedere consigli al ragazzo dell’accoglienza: ci indica genericamente la piazza, dove effettivamente si allineano vari locali. Passeggiando veniamo accalappiati da un “buttadentro” con la propensione per le lingue, che ci identifica per italiani ancora da lontano e vince le nostre (scarse, data l’ora..) resistenze. Io e Antonio ci concediamo la tipica “cataplana di carne all’alentejana”, anche se siamo in Estremadura e l’Alentejo è lontano. Spero che anche l’originale sia, gastronomicamente, lontano da quello che ci hanno somministrato….che non è niente di speciale, ammesso che si potessero nutrire aspettative (come preventivamente osservato da Marina) su un misto di carne di maiale e cozze…..
Comunque l’appetito è sufficiente per spazzolare il tutto e la stanchezza altrettanto per farci tornare rapidamente in albergo dopo due passi canonici per la digestione. La giornata è stata “densa” di eventi e chilometri, sia a piedi che in macchina, quindi auguriamo la buonanotte ai due amanti portoghesi che dormono nel monastero lì di fronte (un po’ spettrale nella notte…) e ci godiamo il meritato riposo.
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