16 agosto: Colombo, l'Algarve e Loulè...

Quanto può valere una colazione a buffet ? dipende dalla capacità dello stomaco e della borsetta…
Lo scorso anno ricordavo un cartello nella sala da pranzo di un albergo andaluso che minacciava qualcosa riguardo a ‘..proibido…comida… ecc. ecc.’, che avevamo interpretato come un chiaro invito a non infilarsi panini nei calzoni fingendo improbabili risvegli mattutini…Ma qui non c’è traccia di divieti espliciti, quindi ci portiamo avanti sul pranzo e mettiamo da parte qualcosa per il futuro. Non ditemi che non l’avete mai fatto….non l’avete mai fatto? Beh, noi si…Niente di esagerato e niente che non sia stato rigorosamente consumato nelle ore successive, siamo per il consumo etico, nessuno spreco: chissà quanta roba buttavano tutte le mattine dopo la colazione…..(sentite lo scricchiolio delle unghie sui vetri?)
Comunque a stomaco pieno e dopo un buon sonno si ragiona meglio. Si parte verso l’Algarve, destinazione Loulè, con qualche sosta prevista al mare, lungo il percorso. Risaliamo la A4 fino a Siviglia per ‘circumnavigare’ le paludi della Donana: una delle aree verdi più grandi d’Europa, vero paradiso per le specie migratorie. Pare che verso la fine del secolo scorso abbiano contribuito alla sua salvaguardia le associazioni dei cacciatori nord europei, preoccupati dell’estinzione delle anatre in caso di distruzione di quest’area di riproduzione e svernamento….
Interessante: noi europei ultimamente abbiamo esteso quest’ottica utilitaristica a tutte le specie migranti, anche non volatili…
Lungo il viaggio sbircio un po’ la carta e una guida dell’Andalusia portata da Antonio, e l’occhio mi cade su un paesino minuscolo vicino a Huelva: Palos de la frontera. Ma non sarà il Palos di “partì da Palos il 3 agosto 1492….” ?. Una rapida ricerca sulla guida e scopro che sì, è proprio il Palos di Colombo, e c’è tutto un itinerario “Colombiano” nei paraggi che assolutamente non possiamo perdere. Una rapida consultazione e decidiamo per la deviazione, tanto di tempo ce n’è.
Nel nostro immaginario Palos è una spiaggia sul mare aperto dove Benigni e Troisi inseguono invano le navi salpate per impedire a Colombo la scoperta dell’America….ma all’arrivo restiamo un po’ delusi. La lapide commemorativa dell’impresa si affaccia da un belvedere che domina….un parcheggio sterrato! O forse un campo da cross o qualcosa del genere, di certo manca l’essenziale, cioè l’acqua. Più in basso c’è la fontana (secca) dove si narra abbiano attinto l’acqua i naviganti prima di salpare dal molo che era proprio lì, dove adesso c’è un canneto che io studio per vedere se idoneo a lasciare il mio intangibile segno di segugio randagio….Ma poi desisto, che comunque il luogo ha una sua certa sacralità, se visto con l’occhio della storia…
In realtà a qualche centinaio di metri scorre il rio Tinto nel suo largo estuario, più simile a un braccio di mare: all’epoca probabilmente arrivava fin qua. Ne discendiamo il corso per qualche km fino a La Rabida e al suo monastero. Pare sia qui che Colombo abbia ottenuto l’appoggio del confessore della Regina Isabella, frate del convento, e realizzato quindi il suo sogno. Oggi dietro il monastero sorge una piccola Gardaland per turisti, con le caravelle ricostruite ormeggiate in una piccola darsena. È quello che resta delle celebrazioni del cinquecentenario, nel ’92: dal molo della regina, lì vicino, è possibile valutare le dimensioni (sempre che non vogliate pagare il biglietto per camminarci sopra) delle tre barchette. Sembrano adatte alle acque chete di questi tratti paludosi di oceano, un po’ meno alle onde che vedremo fra qualche giorno….Provo a immaginare cosa doveva essere qui 500 anni fa…ma non ci riesco; dall’altra parte del fiume Huelva incombe con la sua modernità e rapidamente ci inghiotte, digerisce ed espelle attraverso i ponti a cavallo delle paludi che le stanno intorno. Riprendiamo ‘l’autopista del 5° centenario’ (appunto) giusto per lasciarcelo alle spalle e puntare verso quel Portogallo che a Colombo negò i quattrini per il viaggio, perdendo così l’occasione di entrare nella storia e rientrare ampiamente dei denari spesi, e del secondo fatto certo si dolsero di più gli allora regnanti lusitani.
Traversiamo il rio Guadiana, il latino fiume delle anatre ( che già allora scorazzavano da queste parti senza bisogno di riserve naturali), ora confine fra Spagna e Portogallo; un portale autostradale ci avvisa che siamo in Algarve, quindi…usciamo subito dall’autostrada per dirigerci verso il mare, pochi km più in là. Finiamo in breve nell’ingorgo di Vila Real e capiamo che qui comincia la zona turistica. Tutto questo tratto di costa oceanica non è per niente…oceanica, per come mi aspettavo fosse l’oceano. Lunghe lingue sabbiose dividono la costa dal mare aperto, formando tratti di mare chiusi e piccole lagune, per decine di km, fino a Faro. La guida suggerisce una località chiamata Cacela Veiha, dalla quale “una stradina conduce alla spiaggia”: sembra invitante e quindi lasciamo la statale, anche perché è ora di pranzo. Il posto non sembra particolarmente affollato, per come ci si aspetta una località di mare, anche se è animato da una festa di matrimonio in corso. Non troviamo nessuna stradina….e comunque la spiaggia là sotto non pare frequentabile, affacciata su una specie di palude…ripieghiamo sul barettino con vista dove cominciamo a familiarizzare con l’odore di pesce che troveremo presente in quasi tutti i locali da qui in avanti (bacalhau?). Non si ama molto con il caffè, ma il posto è carino per riposare un po’. Il paese è in alto sulla costa, che si vede proseguire fino oltre Tavira, la nostra meta balneare per domani. Oggi invece torniamo sui nostri passi e scendiamo in auto alla spiaggia di Manta Rota, giusto per bagnarci i piedi, perchè l’acqua non è più calda di ieri. Verso sera ripartiamo per Loulè, scelta da Antonio su suggerimento di un altro ‘turista per caso’, perché ‘fuori dal casino della costa’. Alla periferia della città ricorriamo alla mappa di google, che sarebbe di per sé utilissima se sapessimo da che parte girarla, visto che non abbiamo idea della direzione d’arrivo… Passiamo una mezzoretta a girare cercando una Rua Eng. Duarte Pacheco che ci dovrebbe portare all’albergo, arrivandoci poi dalla parte opposta. Ma questo nome ci perseguiterà per il resto del viaggio, rispuntando da tutte le mappe urbane del Portogallo, come via Garibaldi nelle città italiane. Tornato a casa ho poi scoperto che era un famoso Ministro del fascista Salazar, nativo di Loulè, passato alla storia come riformatore dei trasporti ferroviari e costruttore di aeroporti, nonché delle prime grandi arterie stradali: per la legge del contrappasso morì in un incidente stradale nel ’44….
Loulè è una cittadina carina, e non ho altro da dire su questo, come insegna Forrest Gump. Ma non cercate di mangiarci la pizza.
Ora: la pizza , dopo il caffè, è il secondo tormentone dell’italiano all’estero, con il vantaggio, si dice, che la pizza ormai è internazionale. Appunto: la pizza fa ‘internazionalmente’ schifo. Come qualsiasi cibo ‘internazionale’ (McDonald ecc. ecc.) ha perso le radici che la legavano alla terra d’origine, da cui il cibo proviene, e galleggia in un limbo sintetico che la rende essa stessa sintetica; o almeno così sembrava quella che abbiamo mangiato a Loulè….un po’ plastica…Non è questione di sciovinismo italiota; fra l’altro il pomodoro, ingrediente essenziale, ha avuto cittadinanza prima da queste parti che in Italia, importato in Spagna in seguito ai viaggi di Colombo….L’attaccamento di un cibo alla terra può passare anche attraverso le mani di chi lo prepara, che so’..un pizzaiolo italiano potrebbe aiutare. Comunque per la prima sera ci trattiamo meglio, chiedendo all’albergatore di indicarci un ristorante…e lui puntualmente ci segnala quello che già la Lonely Planet indica come il più costoso. Ci avviamo un po’ dubbiosi (il budget è quel che è), ma per fortuna il locale è chiuso. Così entriamo un po’ oltre, nel ristorante ‘A Muralha’. Ha l’aria del locale tipico per turisti, ed essendo sabato sera c’è animazione, con musica dal vivo. La cantante si cimenta in vari brani mentre mangiamo (Marina inaugura la lunga serie di insalate miste della vacanza….) e ci domandiamo se siano tratti dal repertorio del Fado. In realtà mi ricordavo che il Fado fosse una musica un po’ malinconica, e queste canzoni hanno l’aria un po’ troppo allegra….Quando intona “country road take me home” decidiamo che decisamente non è una cantante di Fado e rinviamo ad altra data l’incontro con questo tipico genere musicale portoghese….Sulla strada del ritorno ci fermiamo ad ascoltare il concerto della banda municipale: il tutto ha l’aria delle serate estive nei nostri paesini del sud, magari di qualche hanno fa, con il gusto per un modo semplice di passare il tempo. Anche la frenesia turistica si placa per un momento, chiudo guide e cartine e ci rilassiamo un po’, prima di andare in albergo a dormire.

Nessun commento: